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La Sentenza della Sesta Sezione della Suprema Corte n. 18257 del 30.4.2015 affronta sotto un nuovo aspetto il peculiare istituto della “prescrizione” degli illeciti ex D.Lgs. 231/01.

Tale istituto rappresenta indubbiamente un elemento di anomalia nel complesso sistema punitivo delineato dal D.Lgs. 231/01, sia laddove alla “prescrizione” si affianca il diverso istituto della “decadenza dalla contestazione” di cui all’art. 60 del Decreto stesso, sia nell’individuazione degli effetti interruttivi della prescrizione connessi all’atto di contestazione dell’illecito secondo l’art. 22.

La citata anomalia consiste nella introduzione di principi analogicamente tratti da norme processuali di diritto civile in seno alla disciplina di una responsabilità pacificamente riconosciuta dalla Suprema Corte come di matrice penale.

Che la Responsabilità Amministrativa 231 ed il sistema punitivo delineato dal D.Lgs. 231/01 siano di natura penalistica, al di là dell’espresso richiamo alle norme del codice di procedura penale di cui all’art. 34, è un principio affermato da numerosissime pronunce della Corte di Cassazione, che ne traggono le dovute conseguenze.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla Sentenza n. 10561 del 5.3.2014 con la quale le Sezioni Unite, dopo aver affermato l’irrazionalità dell’assenza dei reati tributari tra i reati presupposto della Responsabilità 231, concludono evidenziando che “Tale irrazionalità non è peraltro suscettibile di essere rimossa sollevando una questione di legittimità costituzionale, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’art. 25 Cost., comma 2, deve ritenersi ostativo all’adozione di una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore”.

Ebbene, nell’alveo di un siffatto sistema punitivo penalistico, ove si affronta l’istituto della prescrizione delle sanzioni si attinge invece a principi di diritto  civile, ed infatti l’art. 22 D.Lgs. 231/01 dispone:
“1.  Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
2.  Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59
4.  Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio“.

E’ evidente l’estraneità di tale effetto sospensivo della prescrizione sino al passaggio in giudicato della sentenza, rispetto ai principi che regolano la prescrizione di cui all’art. 157 e ss. del codice penale ed invece l’analogia rispetto all’art. 2945 co. 2 del codice civile.
Ed, infatti, la Cassazione, già con Sentenza Cass. Pen. sez V n.20060 del 9.5.2013, ha affermato: “D’altronde, se è vero che l’illecito amministrativo si prescrive in cinque anni dalla commissione dal reato, è anche vero che si devono applicare le cause interruttive del codice civile e pertanto la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento (articolo 2945 cod. civ.. Per un caso analogo si veda Sez. 4, n. 9090 del 05/04/2000, Lefemine, Rv. 217126: A norma degli artt. 2943 e 2945 cod. civ. la prescrizione è interrotta dall’atto col quale si inizia un giudizio ed essa pertanto non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il processo…”.

La Sentenza in commento n. 18257 del 30.4.2015 individua il perchè dell’anomalia sopra descritta, riconoscendone la causa nella precisa scelta legislativa operata in seno alla L. 300/2000, di cui il D.Lgs. 231/01 rappresenta il Decreto attuativo. Infatti all’art. 11 della L. 300/2000 è prevista la delega al governo a r) prevedere che le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e l) si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b) c) e d) e che l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile“.

Ciò detto, la nuova pronuncia in commento affronta il diverso aspetto concernente il momento in cui l’atto interruttivo della prescrizione, consistente nella contestazione dell’illecito, esplicherebbe i propri effetti, se con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio secondo le regole del codice penale oppure soltanto nel momento dell’avvenuta notifica di tale richiesta.

Scrive la Corte: “Ciò posto, va considerato come non è in dubbio, in quanto espressamente previsto, che nella disciplina dell’interruzione della prescrizione del diritto civile (art. 2943 c.c.) l’effetto di interruzione si ottenga con la portata a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore, in particolare con la notifica degli atti processuali; del resto la ragione è che, in quel caso, l’atto introduttivo rappresenti la richiesta al debitore che non può che decorrere dalla effettiva conoscenza, mentre, nel processo penale, la prescrizione rileva in quanto mancato esercizio dell’azione penale, tenendosi perciò conto del compimento delle attività relative, ovvero dell’emissione dei provvedimento, e non della notifica.”

La conseguenza, nel caso di specie, è stata la conferma della pronuncia dichiarativa di prescrizione a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio emessa prima dello scadere del quinto anno, ma notificata soltanto dopo la scadenza medesima.

Per il testo completo della Sentenza Cass. Pen. Sez. VI n. 18257/2015 cliccare qui.

Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca

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Evento organizzato dalla Camera Penale di Padova “Francesco De Castello” unitamente al Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell’Università degli Studi di Padova, alla Camera degli Avvocati Tributaristi del Veneto ed all’UNCAT.

Evento accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Padova, con attribuzione di 3 crediti formativi in materia di diritto penale.

Il D.Lgs. 24/2023, in attuazione della direttiva UE 2019/1937, ha introdotto l’obbligo per le imprese italiane, sia del settore pubblico che del settore privato, di istituire dei canali ed adottare una Procedura per la gestione delle segnalazioni (c.d. Whistleblowing).

La norma disciplina un aspetto della vita aziendale del tutto nuovo per la maggior parte delle realtà produttive, in quanto la tutela del segnalante dal 2017 ad oggi era prevista solo per le società che avevano adottato il Modello 231 e per le società del settore pubblico.

La maggior parte delle società dovrà quindi attivarsi per adottare canali di segnalazione ed una Procedura che rispettino i parametri dettati dal legislatore. Le società dotate di Modello 231 dovranno invece rivalutare la Procedura in essere al fine di recepire le novità in materia dettate dal D.Lgs. 24/2023.

I punti nodali concernono: ampliamento della platea di soggetti segnalanti, ampliamento degli illeciti oggetto di segnalazione, istituzione della funzione del “facilitatore”, canali di segnalazione interna e possibilità di effettuare segnalazioni esterne, divulgazioni pubbliche, adeguamento del sistema privacy.

Con riferimento ai soggetti segnalanti la nuova norma estende l’ambito di applicazione soggettiva, includendo un’ampia platea di figure, comprensiva di lavoratori e collaboratori, di “azionisti” e persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, ma anche di lavoratori autonomi, liberi professionisti, consulenti e volontari che abbiano appreso la notizia della commissione di un illecito nell’ambito del rapporto con la società.

Gli illeciti che possono essere segnalati non riguardano più solo quelli previsti dal D.Lgs. 231/01 e, per le realtà pubbliche, dal D.Lgs. 165/2001, ma sono ricompresi, a seconda della specifica realtà e settore, illeciti amministrativi, civili, penali in senso ampio, illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione di atti dell’Unione e nazionali in vari settori (protezione dei dati personali, tutela dell’ambiente, protezione dei consumatori, prevenzione del riciclaggio, sicurezza e conformità dei prodotti, salute pubblica, concorrenza ed aiuti di Stato, etc.), illeciti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

Il “facilitatore” è un soggetto inserito nel contesto lavorativo del segnalante con la funzione di aiutare il medesimo nel processo di segnalazione ed al quale vengono garantite le medesime tutele.

Quanto ai canali di segnalazione interna, oltre a quelli già esistenti (e-mail o cartacea) si prevede espressamente la possibilità di effettuare la segnalazione in forma orale mediante linee telefoniche o in occasione di incontri dedicati. Inoltre, è stata introdotta la possibilità di effettuare segnalazioni esterne rivolte direttamente all’ANAC, per le ipotesi in cui la società non abbia adottato canali di segnalazione, la segnalazione interna non sia stata gestita, il segnalante abbia fondato motivo di ritenere che la segnalazione interna non sarebbe gestita o porterebbe a ritorsioni, il segnalante ritenga vi sia un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.

Ulteriore novità è la possibilità per il segnalante di divulgare pubblicamente l’oggetto della segnalazione. In questa ipotesi la tutela è accordata al ricorrere di una delle seguenti condizioni: è stata effettuata una segnalazione esterna alla quale non è stato dato riscontro, il segnalante ritenga vi sia un pericolo imminente per il pubblico interesse, il segnalante abbia fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna non sarebbe gestita o porterebbe a ritorsioni.

È esclusa dall’ambito di applicazione della norma la previsione di segnalazioni esterne o divulgazione pubblica per le società dotate di Modello 231 con meno di 50 dipendenti.

Infine la società dovrà integrare il proprio sistema privacy quanto alla gestione dei dati relativi al segnalante ed alle segnalazioni.

La gestione delle segnalazioni dovrà essere gestita da una persona od ufficio dedicato e con personale adeguatamente formato oppure da un terzo esterno.

La norma si applica:

– a tutte le società che hanno impiegato nell’anno precedente una media di almeno 50 dipendenti;

– a tutte le società dotate di Modello di organizzazione e gestione 231 indipendentemente dal numero di dipendenti;

– a tutte le società, indipendentemente dal numero di dipendenti, che rientrino nell’ambito di applicazione di atti dell’Unione concernenti servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo o sicurezza nei trasporti.

Il legislatore ha previsto due termini differenti per l’adozione della Procedura e del sistema di gestione delle segnalazioni:

– il 15 luglio 2023 per le società con almeno 250 dipendenti e le società del settore pubblico;

– il 17 dicembre 2023 per le società fino a 249 dipendenti.

Le attività di verifica sull’adozione e adeguatezza della Procedura saranno svolte dall’ANAC.

In caso di mancata adozione o inadeguatezza della Procedura è prevista una sanzione che va da un minimo € 10.000 ad un massimo di € 50.000.

Al presente link è disponibile il testo  del D.Lgs. 231/01 aggiornato con la nuova fattispecie di reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti introdotto nell’art. 25-ter dal D.Lgs. 19/2023.

In particolare si tratta del delitto di false o omesse dichiarazioni per il rilascio del certificato preliminare previsto dalla  normativa attuativa della Direttiva (UE) 2019/2121 in tema di trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere.

Finalmente un’importante conferma da parte della Suprema Corte, che chiarisce inequivocabilmente i confini tra soggetto apicale e soggetto sottoposto nell’ambito dell’organizzazione di una società.

Il tema è da sempre dibattuto ed ha visto contrapporsi opinioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali che hanno di volta in volta ampliato o ristretto il novero dei soggetti apicali, senza soffermarsi in maniera approfondita sulla corretta interpretazione da attribuire alla lettera dell’art. 5 D.Lgs. 231/01.

La nostra opinione, espressa in numerosi convegni, è sempre stata nel senso di attribuire al concetto di “soggetto apicale”, individuato normativamente nelle “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”, un’interpretazione restrittiva circoscritta all’assoluto vertice della gestione societaria.

D’altro canto la lettera della norma parla di amministrazione e direzione o dell’intero ente o di una sua unità autonoma (richiamando concetti noti alla sicurezza sul lavoro per l’identificazione del “Datore di Lavoro”), concetti che non lasciano spazio ad un’estensione che abbracci soggetti posti al vertice di semplici “funzioni” aziendali.

Analogamente il concetto di “delega”, per quanto ampia, lascia sussistere una sottoposizione del delegato ad un potere di vigilanza del delegante.

La Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, con sentenza n. 34943 del 21.9.2022 ha finalmente cristallizzato tale impostazione interpretativa, affermando “…le nozioni di amministrazione e di direzione dell’ente o di una singola unità organizzativa richiamano, seppure sotto il profilo funzionale, la struttura stessa dell’ente evocando la massima espressione dei poteri di indirizzo, di elaborazione delle scelte strategiche, della organizzazione aziendale, della assunzione delle decisioni e dei deliberati attraverso i quali l’ente persegue le proprie finalità. La direzione implica, di regola, un atto di prepositura con la quale il dirigente viene indirizzato all’intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa e viene investito di attribuzioni che, per ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, pure nel rispetto delle direttive programmatiche dell’ente, di imprimere un indirizzo o un orientamento al governo complessivo dell’azienda assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello”.

Per concludere che “non può riconoscersi rilievo decisivo al conferimento mediante atto di delega di specifiche attribuzioni per lo svolgimento di una funzione determinata, anche se nevralgica nell’azienda… Ciò in quanto il delegato rimane sottoposto al più ampio potere del delegante, che viene esercitato anche sotto forma di vigilanza…”.

L’interpretazione più restrittiva del concetto di “soggetto apicale” non è di poco conto, se si considera il diverso regime di responsabilità e la diversa incidenza dell’onere probatorio ricadente sull’accusa che gli artt. 6 e 7 D.Lgs. 231/01 disciplinano a seconda che il fatto reato sia commesso da un apicale o da un sottoposto.

Cliccare qui per la sentenza (link a italgiure.giustizia.it)

Al presente link è disponibile il testo  del D.Lgs. 231/01 aggiornato con le nuove fattispecie di reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.

In particolare si tratta degli artt. 25-septiesdecies “Delitti contro il patrimonio culturale” e 25-duodevicies “Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici”.

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Il 22 febbraio 2022 è stata pubblicata la Legge costituzionale 11 febbraio 2022 che introduce espressamente la tutela dell’ambiente nella Costituzione italiana.

La riforma è stata approvata con un’ampia maggioranza parlamentare e questo fa sì che la modifica sia già entrata in vigore non necessitando del referendum popolare.

Nello specifico sono stati modificati gli artt. 9 e 41 nei quali viene ora riconosciuto l’ambiente quale valore costituzionalmente protetto.

Si riportano di seguito le norme come modificate.

ART. 9

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”

 

ART. 41

“L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”