Modello 231 nelle Società controllate da P.A. ed Enti pubblici

Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

Modello 231 nelle Società controllate da P.A. ed Enti pubblici

di Alberto Tenca e Anna Di Lorenzo, con la collaborazione di Elena Zaggia – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

Il tema del rapporto tra “Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione”, ora dopo l’intervenuta riforma del D.Lgs. 97/2016 “Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza” (PTPCT), ed il Modello 231 è stato da sempre oggetto di valutazioni e considerazioni da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). In particolare le posizioni assunte dall’Autorità hanno posto l’interrogativo se l’adozione del Modello 231 per le controllate e partecipate pubbliche fosse un “obbligo” e non un “onere” come prevede il legislatore del D.Lgs. 231/01.

Nella determinazione n. 8 del 17 giugno del 2015, l’ANAC, al Punto 2., ha previsto: “Le presenti Linee guida muovono dal presupposto fondamentale che le amministrazioni controllanti debbano assicurare l’adozione del Modello di organizzazione e gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001 da parte delle società controllate. Oneri minori gravano, come si vedrà, per le società a partecipazione pubblica non di controllo, nei confronti delle quali le amministrazioni partecipanti si attivano per promuovere l’adozione del suddetto modello organizzativo”.

Con la riforma della L. 190/2012 ad opera del D.Lgs. 97/2016 il legislatore prende una nuova posizione sulla correlazione tra Modello ex D.Lgs. 231/2001 e PTPCT.

Il nuovo comma 2 bis inserito all’art. 1 L. 190/2012 enuncia infatti che: “Il Piano nazionale anticorruzione è adottato sentiti (…). Il Piano ha durata triennale ed è aggiornato annualmente. Esso costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e per gli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche per assicurare l’attuazione dei compiti di cui al comma 4, lettera a). Esso, inoltre, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione”.

Tale presa di posizione dà luogo a diverse possibili interpretazioni.

La bozza di Linee Guida dell’ANAC, posta in consultazione pubblica sul sito dell’Autorità fino al 26 aprile 2017, risponde innanzitutto all’esigenza di considerare il nuovo ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in tema di trasparenza, delineato dal citato comma 2 bis. Tali linee guida si ripropongono di sostituire la Determinazione 8/2015.

Al Punto 3.1.1. le Linee Guida in consultazione si esprimono come segue: “In una logica di coordinamento delle misure e di semplificazione degli adempimenti, le società integrano il “modello 231” con misure idonee a prevenire anche i fenomeni di corruzione e di illegalità in coerenza con le finalità della legge n. 190 del 2012. In particolare, quanto alla tipologia dei reati da prevenire, il d.lgs. n. 231 del 2001 ha riguardo ai reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell’interesse di questa (art. 5), diversamente dalla legge 190 che è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società. Nella programmazione delle misure occorre ribadire che gli obiettivi organizzativi e individuali ad esse collegati assumono rilevanza strategica ai fini della prevenzione della corruzione e vanno pertanto integrati e coordinati con tutti gli altri strumenti di programmazione e valutazione all’interno della società o dell’ente. Queste misure devono fare riferimento a tutte le attività svolte ed è necessario siano ricondotte in un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell’aggiornamento annuale e della vigilanza dell’A.N.AC. Se riunite in un unico documento con quelle adottate in attuazione del d.lgs. n. 231/2001, dette misure sono collocate in una sezione apposita e dunque chiaramente identificabili, tenuto conto che ad esse sono correlate forme di gestione e responsabilità differenti. È opportuno che esse siano costantemente monitorate anche al fine di valutare, almeno annualmente, la necessità del loro aggiornamento. Poiché il comma 2 bis dell’art. 1 della l. 190/2012, così come modificato dal d.lgs. 97/2016, ha reso obbligatoria l’adozione delle misure integrative del “modello 231”, è fortemente raccomandata, ove le società non vi abbiano già provveduto, l’adozione di tale modello, almeno contestualmente alle misure integrative anticorruzione. Le società che decidano di non adottare il “modello 231” e di limitarsi all’adozione del documento contenente le misure anticorruzione dovranno motivare tale decisione. L’ANAC, in sede di vigilanza, verificherà quindi l’adozione e la qualità delle misure di prevenzione della corruzione e monitorerà lo stato di adozione del “modello 231”. Le società, che abbiano o meno adottato il “modello 231”, definiscono le misure per la prevenzione della corruzione in relazione alle funzioni svolte e alla propria specificità organizzativa.

Rispetto quindi alla posizione assunta in seno alla Determinazione 8/2015, l’ANAC parrebbe ora voler lasciare alla libera decisione delle società controllate la scelta di dotarsi o meno del Modello 231.

Nelle more dell’approvazione, è intervenuto tuttavia un parere del Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 20 aprile 2017, numero affare 650/2017 – proprio in riferimento alle suddette Linee Guida.

Il Consiglio di Stato, al punto 9.1 del parere, si esprime accentuando maggiormente le intenzioni che sembrano sottointese dal legislatore con l’inserimento del nuovo co. 2 bis nell’art. 1 L. 190/2012: “Per quanto concerne le misure organizzative per la prevenzione della corruzione, nello schema delle linee guida si afferma che, alla luce dell’art. 1, comma 2 bis della L. 190/2012, l’adozione del Modello è “fortemente raccomandata” e che le società che decidono di non adottarlo e di limitarsi quindi ad adottare le misure integrative anticorruzione dovranno motivare tale decisione. Si osserva però che l’obbligo normativo sancito dall’art. 1 co. 2 bis, della L. 190/2012, sottintende l’adempimento dell’obbligo base definito dal D.Lgs. 231/2001, tant’è vero che si tratta di misure “integrative” che, altrimenti, risulterebbero prive della base organizzativa fondamentale. Peraltro, anche avendo riguardo alla ratio della previsione, l’elasticità consentita dalla formulazione delle linee guida non è funzionale al conseguimento degli obiettivi della normativa. Ne è conferma il fatto che le stesse linee guida, nel sottolineare la permanente necessità degli adempimenti anticorruzione da parte delle società pubbliche in liquidazione, sembra sottintendano (alle pagg. 22-23) l’adozione del c.d. Modello 231. Si suggerisce pertanto una formulazione che renda in modo adeguato la portata cogente dell’obbligo.

Secondo il Consiglio di Stato dunque la norma di cui all’art. 1 co. 2 bis L. 190/2012 determinerebbe un obbligo cogente per le società controllate di adozione del Modello 231.

Non ci resta che attendere l’approvazione delle Linee Guida per vedere la posizione che intenderà assumere l’ANAC, competente a sanzionare la mancanza o incompletezza dei Piani.