La gestione delle terre e rocce da scavo ed i possibili rischi 231

Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

La gestione delle terre e rocce da scavo ed i possibili rischi reato presupposto 231 connessi

di Anna Di Lorenzo – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

 

Quando ci si pone dinanzi all’analisi dei processi a rischio reato presupposto della responsabilità ex D.Lgs. 231/01 e successivamente alla predisposizione delle misure di prevenzione, non si può prescindere dall’esaminare la realtà dell’Ente, la sua attività e tutto quanto ha rilievo sulla probabilità di commissione di reati presupposto.

Nella misura in cui si è chiamati ad esaminare i rischi reato in materia ambientale ed in particolare quelli relativi alla corretta gestione dei rifiuti, non si può omettere di analizzare quali tipologie di rifiuti tratta l’Ente, in quale punto della gestione della filiera dei rifiuti si pone e soprattutto, con riferimento a determinate specifiche attività, se il materiale trattato possa essere riconducibile alla tipologia di rifiuto o di sottoprodotto. Aspetto di rilievo, perché la non corretta conoscenza di ciò e la conseguente scorretta gestione potrebbero esporre a contestazioni sia di natura amministrativa che penale.

In tale ambito assume rilievo il DPR 13 giugno 2017, n. 120 “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che interviene su un tema da sempre oggetto di modifiche normative ed interpretative.

Il DPR dispone il riordino e la semplificazione della disciplina inerente la gestione delle terre e rocce da scavo, con riferimento a:

– terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti, provenienti da cantieri di piccole e grandi dimensioni[1];

– disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti;

– utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti;

– gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.

Altri aspetti importanti utili per l’esame del processo di gestione e per le ripercussioni conseguenti sono:

– la definizione di sottoprodotto[2];

– termini, tempi e modi relativi alla gestione del “sito di deposito intermedio[3],

– la dichiarazione da effettuare in caso di impiego di terre e rocce da scavo.

Da questo sintetico quadro si evince che gli Enti interessati a tale normativa sono sicuramente quelli che operano nel settore dell’edilizia, infrastrutture, opere pubbliche, gli Enti che si occupano di attività di bonifica e coloro che impiegano terre e rocce da scavo[4]. Ciò a conferma del fatto che proprio il tipo di attività svolta dall’Ente assume rilievo per valutare l’applicabilità ad esso di tale normativa e le conseguenze organizzative sull’Ente per adempiervi correttamente.

La non corretta o l’omessa classificazione ed analisi delle terre e rocce da scavo potrebbe esporre l’Ente alla commissione di determinate fattispecie di reati presupposto in materia ambientale, ma altresì, una volta classificate correttamente le terre e rocce da scavo come sottoprodotto, la non corretta gestione del “deposito intermedio” farebbe venir meno la qualificazione delle stesse come sottoprodotti, riconducendole invece “con effetto immediato” alla categoria di rifiuti con tutti i relativi oneri ed adempimenti connessi[5]. In linea con tale conclusione si presenta l’esclusione, dalla disciplina del DPR, all’art. 3, dei “rifiuti provenienti direttamente dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Rileviamo anche che il produttore delle terre e rocce da scavo, che dovrebbero essere reimpiegate, deve dimostrare che non sono stati superati i valori di “concentrazione soglia di contaminazione nel suolo” previsti per le bonifiche e che i materiali non costituiscono fonte diretta o interna di contaminazione per le acque sotterranee. Aspetto questo che, come gli altri, rileva per le fattispecie di reato presupposto ambientali.

Ciò considerato, riteniamo che, in base al tipo di attività svolta dall’Ente, vada preso in esame tale DPR, non solo per individuare le aree di rischio, ma soprattutto per poter predisporre idonei controlli di prevenzione che contengano regole di comportamento ed organizzazione, al fine di rispettare le previsioni normative e non incorrere in reati.

Tuttavia un controllo pregnante sulla provenienza e costituzione delle terre e rocce da scavo non spetta solamente al produttore che riutilizzi il sottoprodotto all’interno del sito di produzione, ma anche all’utilizzatore esterno, in quanto la mancata verifica del rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione comporta conseguenze in materia di inquinamento ambientale, potendo condurre alla realizzazione di fattispecie che costituiscono reato presupposto. Inoltre va considerata anche l’attività di trasporto di tale materiale che deve essere accompagnato dalla documentazione prescritta[6].

Non va omesso di valutare che il DPR in più punti rimarca che le procedure di gestione sono state previste per “garantire che la gestione e l’utilizzo delle terre e rocce di scavo come sottoprodotti avvenga senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente” e ancora si parla della finalità di assicurare “livelli di tutela ambientale e sanitaria garantendo controlli efficaci…[7].

Per tutto quanto detto e per la disciplina sottesa alla corretta gestione delle terre e rocce da scavo, quali sottoprodotti, in caso di inosservanza delle disposizioni del DPR 120/2017 ai fini della disciplina del D.Lgs. 231/01 potremo avere una pluralità di reati presupposto, alcuni strettamente connessi all’ambiente (quali ad esempio gestione dei rifiuti, inquinamento ambientale) altri legati ai rapporti con le autorità competenti a ricevere le “dichiarazioni di avvenuto utilizzo[8] e ad effettuare i controlli relativi.

[1] Sul punto il DPR indica le soglie numeriche per l’identificazione della tipologia di cantiere. Si vedano le definizioni di cantiere riportate all’art. 2 DPR 120/2017: lett. t) “cantieri di piccole dimensioni”, “cantiere in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità non superiore ai seimila metri cubi, calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, comprese quelle prodotte nel corso di attività o opere soggette a procedure di valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale di cui alla Parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”; lett. u) “cantieri di grandi dimensioni”, “cantiere in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiore ai seimila metri cubi (…)”; lett. v) dove sono definiti i “cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA” anch’essi soggetti alla disciplina del DPR.

[2] Ai sensi dell’art. 4 co. 2 DPR 120/2017, le terre e rocce da scavo per essere qualificate sottoprodotti devono soddisfare i seguenti requisiti:

a) sono generate durante la realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;

  1. b) il loro utilizzo è conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’articolo 21, e si realizza: 1)  nel corso dell’esecuzione della stessa opera nella quale è stato generato o di un’opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali; 2)  in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;
  2. c)  sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
  3. d)  soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III o dal Capo IV del presente regolamento, per le modalità di utilizzo specifico di cui alla lettera b).

[3] Si veda l’art. 2, co. 1 lett. n) del DPR 120/2017.

[4] A tal fine si vedano l’art. 1 co. 1 lett. a) e l’art. 2 lett. aa) da cui si possono evincere elementi utili per desumere le attività di rilievo dell’Ente ai fini del DPR.

[5] Si veda l’art. 5 del DPR 120/2017 che definisce il deposito intermedio e la modalità di gestione ed al comma 3 espressamente chiarisce “Decorso il periodo di durata del deposito intermedio indicato nel piano di utilizzo e nelle dichiarazioni di cui all’art. 21, viene meno, con effetto immediato, la qualifica di sottoprodotto delle terre e rocce non utilizzate in conformità al piano di utilizzo o alla dichiarazione di cui all’art. 21, e pertanto, tali terre e rocce sono gestite come rifiuti …””.

 

[6] Si veda l’art. 6 del DPR 120/2017.

[7] Si vedano rispettivamente gli artt. 4, co. 1 e 1, co. 2 del DPR 120/2017.

[8] Si veda l’art. 7 del DPR 120/2017.