Alberto Tenca

87 POSTS 0 COMMENTS

Con sentenza n. 10265 emessa dalla Sezione V della Corte di Cassazione Penale, pubblicata il 4.3.2014, la Suprema Corte affronta, nella prima parte della motivazione, il tema dell’interesse o vantaggio quali criteri alternativi di imputabilità dell’ente, in rapporto alla previsione di esclusione dalla responsabilità 231 nel caso in cui l’autore del reato abbia agito “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi” (art. 5 co. 2 D.Lgs. 231/01).
Prosegue la Corte soffermandosi ampiamente sulla nozione di “profitto” confiscabile.

Ciò che qui più interessa, lasciando per il resto alla lettura della sentenza (qui scaricabile: Cass.Pen. sez. V n. 10265/14) è un passaggio intermedio della sentenza in cui la Suprema Corte afferma il principio secondo cui, benchè l’art. 25 ter D.Lgs. 231/01, relativo ai Reati Societari, preveda l’applicazione delle indicate sanzioni qualora tali reati siano “commessi nell’interesse della società”, senza in alcun modo menzionare il diverso criterio del “vantaggio”, ciò nonostante anche per i Reati Societari vanno applicati i distinti autonomi criteri dell’interesse o del vantaggio, quali presupposti alternativi per l’affermazione di responsabilità dell’ente.

Si riporta di seguito il percorso logico seguito sul punto nella sentenza:

“A completamento dell’interpretazione del contesto normativo di riferimento, è necessario affrontare una ulteriore questione, solo incidentalmente evocata nel ricorso alle pp. 6 e 7. Infatti la responsabilità amministrativa di Italease è stata ritenuta, nel caso di specie, anche in riferimento ai reati presupposto di ostacolo alla vigilanza (art. 2638 c.c.) e false comunicazioni sociali (art. 2622 c.c.), entrambi contemplati nel catalogo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25 ter. Tale ultima disposizione, peraltro, a differenza del già citato comma 1 dell’art. 5, menziona il solo “interesse” quale criterio ascrittivo dell’illecito, scelta che potrebbe rivelare l’apparente intenzione legislativa di ridimensionare l’area della responsabilità dei soggetti collettivi in relazione ai reati societari. Ad una analisi più attenta, però, la disposizione non tarda a smentire ogni effettiva volontà di ripensamento strutturale dell’illecito nel caso questo consegua alla consumazione di un reato societario. Piuttosto sembra valere da indizio sistematico, in uno con la previsione del comma 2 dell’art. 5, alla comprensione dei due termini (interesse e vantaggio) come concettualmente autonomi e non di meno equivalenti espressivi di una funzionalità del comportamento criminoso individuale rispetto all’ottenimento di un risultato che avvantaggi l’attività sociale, nella quale, del resto, si trova racchiusa l’unica prospettiva di “interesse” concepibile in capo ad un soggetto giuridicamente organizzato.

L’art. 25 ter, infatti, è stato introdotto dalla riforma del diritto penale societario realizzata attraverso il D.Lgs. n. 61 del 2002, la cui Relazione, a proposito della disposizione in esame, espressamente precisa come la responsabilità degli enti collettivi per i reati societari sia stata configurata “nel rispetto dei principii contenuti nella L. 29 settembre 2000, n. 300 e nel D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231”, ribadendo in tal modo l’identica direttiva contenuta nella legge delega del D.Lgs. n. 61 del 2002 (L. n. 366 del 2001, art. 11). E sì vero che proprio la legge delega per prima ha poi menzionato esclusivamente l’interesse per descrivere il contesto imputativo dell’illecito, ma proprio la premessa da cui il legislatore delegante ha preso le mosse evidenzia l’assenza della volontà di configurare all’interno del D.Lgs. n. 231 del 2001 una sorta di sottosistema dedicato alla responsabilità da reato societario governato da regole autonome rispetto a quelle dettate nella parte generale del decreto.

E’ possibile quindi concludere ribadendo che la formulazione dell’art. 25 ter opera più apparentemente che sostanzialmente un allontanamento dai criteri di imputazione generale previsti dalla disciplina del D.Lgs. n. 231 del 2001, criteri che pertanto trovano applicazione anche in ambito societario, nonostante la dubbia tecnica di redazione del testo di legge”.

2019

In seno a tale corso, che si terrà a Padova nei giorni 10-11-12 aprile 2014, sarà affrontato anche il tema delle responsabilità dell’impresa e nell’impresa, con particolare attenzione alla Responsabilità ex D.Lgs. 231/01.

Tra i relatori, l’Avv. Anna Di Lorenzo e l’Avv. Alberto Tenca dello Studio Legale Associato Tosello & Partners.

Il corso è organizzato dal Centro Studi PENTESILEA

Cliccare qui per scaricare la Brochure del “Corso intensivo di Diritto Societario”

Approvata in via definitiva alla Camera la Legge sulla “DELEGA FISCALE”

L’utilità dell’adozione dei Modelli 231 da parte delle imprese, al di là dei benefici esimenti o diminuenti della Responsabilità Amministrativa, trova ulteriore conferma nel testo di Legge in esame, che all’art. 6 contiene la delega al Governo affinchè introduca norme che prevedano:

“per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale...” (art. 6 co. 1)

“incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione… ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231…” (art. 6 co. 2).

Di un anno il termine per l’adozione dei Decreti Legislativi di attuazione.

 

Il Dossier del Servizio Studi del Senato sull’A.S. n. 1058 “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” n. 63 dell’ottobre 2013 esprime chiaramente la convinzione che i Modelli di cui al D.Lgs. 231/01 “possono essere inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale), offrendo all’imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare l’attività dell’impresa”.

Il Dossier contiene anche un monito ben preciso agli imprenditori:

 “la necessità di creare modelli organizzativi… è stata interpretata dalle imprese e dagli enti interessati prevalentemente in modo negativo, quale ulteriore adempimento generatore di costi e responsabilità… Questo modo di interpretare la normativa ha portato le stesse a creare modelli organizzativi “di facciata” senza vedere in questi alcuna utilità diretta sul piano gestionale e strategico. La giurisprudenza, con sanzioni gravi, ha punito questo tipo di approccio disattendendo il modello, in quanto non creato a misura sull’impresa, ma copiato da prototipo soggettivamente inefficace”.

Cliccare qui per scaricare il dossier senato Delega Fiscale

E’ stato pubblicato il D.M. 13.2.2014, con il quale il Ministero del lavoro ha fornito indicazioni organizzative semplificate per le PMI che intendano adottare il Modello di Organizzazione e Gestione D.Lgs. 231/01, per la parte relativa alla sicurezza sul lavoro di cui all’art. 30 D.Lgs. 81/08.

E’ possibile scaricare il testo del Decreto e le Procedure semplificate cliccando sui seguenti link:

DM 13.2.2014

Procedure semplificate

1913

La Responsabilità amministrativa D.Lgs. 231/2001
Quali applicazioni in materia tributaria?

Sala Ordine Avvocati Padova – 21 febbraio 2014

RELATORI: Avv. Alberto Tenca ed Avv. Anna di Lorenzo

CONTENUTI:

Principi della responsabilità amministrativa 231

 I reati presupposto che creano la responsabilità
Quali possibili applicazioni in materia tributaria?

Le misure cautelari a carico dell’Ente

Le sanzioni amministrative per l’Ente

Attività investigativa
La Circolare della Guardia di Finanza (n. 83607/2012)

Come difendere l’Ente?
– Un solo strumento: il Modello di organizzazione e gestione
– Aspetti operativi e applicativi

 

Discussione dei quesiti che saranno posti dai partecipanti

 

STRUMENTI DIDATTICI UTILIZZATI

Proiezione di slide

2884

Reati d’impresa, impostazione della difesa e strategie processuali

Il Master esamina con taglio pratico ed operativo le questioni giuridiche – sostanziali e processuali – di maggior rilievo attinenti la complessa materia del diritto penale d’impresa.
Nello specifico verranno analizzate le dinamiche processuali in caso di procedimento penale-amministrativo a carico dell’Ente ex D. Lgs. 231/01, in ambito di diritto penale del lavoro, di reati nelle procedure concorsuali e di violazioni penal-tributarie.
L’obiettivo è porre in evidenza le strategie e tecniche difensive che il Professionista deve adottare al fine di tutelare al meglio la propria “impresa-cliente”.

SEDI E DATE

MILANO

Hotel Michelangelo

27 giugno 2014
28 giugno 2014
11 luglio 2014
12 luglio 2014

CLICCARE QUI PER PROGRAMMA ED INFORMAZIONI

Con sentenza n. 4677 del 18.12.2013, pubblicata il 30.1.2014, la Corte di Cassazione Penale, Sez. V, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria pronunciata dalla Corte di Appello di Milano, a fronte del ricorso presentato dal Procuratore Generale.

Nella motivazione di tale sentenza, la Suprema Corte ha affermato alcuni principi che riteniamo meritino un commento critico e che ci auguriamo possano trovare occasione di approfondimento ed, in parte, di ripensamento da parte dei giudici di legittimità, per quanto andremo qui ad argomentare.

Leggi l’articolo di commento alla sentenza 4677/14

Testo della sentenza Cass. Pen. Sez. V 4677/14

 Il Disegno di Legge A.S. 1058, approvato alla Camera il 20.9.2013, ora al vaglio del Senato, apre una nuova frontiera ai Modelli di Organizzazione e Gestione di cui al D.Lgs. 231/01.

L’utilità dell’adozione dei Modelli 231 da parte delle imprese, al di là dei benefici esimenti o diminuenti della Responsabilità Amministrativa, trova ulteriore conferma nel testo del Disegno di Legge in esame, che all’art. 6 contiene la delega al Governo affinchè introduca norme che prevedano:

“per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale...” (art. 6 co. 1)

“incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione… ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231…” (art. 6 co. 2).

Il Dossier del Servizio Studi del Senato sull’A.S. n. 1058 “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” n. 63 dell’ottobre 2013 esprime chiaramente la convinzione che i Modelli di cui al D.Lgs. 231/01 “possono essere inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale), offrendo all’imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare l’attività dell’impresa”.

Il Dossier contiene anche un monito ben preciso agli imprenditori:

 “la necessità di creare modelli organizzativi… è stata interpretata dalle imprese e dagli enti interessati prevalentemente in modo negativo, quale ulteriore adempimento generatore di costi e responsabilità… Quasto modo di interpretare la normativa ha portato le stesse a creare modelli organizzativi “di facciata” senza vedere in questi alcuna utilità diretta sul piano gestionale e strategico. La giurisprudenza, con sanzioni gravi, ha punito questo tipo di approccio disattendendo il modello, in quanto non creato a misura sull’impresa, ma copiato da prototipo soggettivamente inefficace”.

Cliccare qui per scaricare dossier senato Delega Fiscale

Legge “Anticorruzione” n.190 del 6.11.2012

Nuovi reati presupposto della Responsabilità Amministrativa D.Lgs. 231/01: “Corruzione tra privati” e
“Induzione indebita a dare o promettere utilità”

Con la recente Legge n. 190 del 6.11.2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13.11.2012, il Legislatore
italiano ha inteso adeguare la normativa nazionale ai dettami della Convenzione di Strasburgo del 27 gennaio
1999, ratificata con Legge n. 110 del 28.6.2012.

La L. 190/12 è titolata: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità
nella pubblica amministrazione”; interviene su un duplice fronte:
1) detta disposizioni per la prevenzione, individuando e regolamentando una “Autorità nazionale
anticorruzione”, imponendo nuovi obblighi alle Pubbliche Amministrazioni, a valere anche per le società
partecipate dalle stesse e per le loro controllate (limitatamente alle attività di pubblico interesse), apportando
modifiche normative e delegando al Governo ulteriori interventi in materia (L. 190/12 art. 1 co. da 1 a 74);
2) interviene sul fronte della repressione, innovando la disciplina del codice penale quanto ai reati di
concussione e corruzione, modificando l’art. 2635 c.c. in tema di corruzione tra privati ed introducendo
nuovi reati presupposto della Responsabilità Amministrativa D.Lgs. 231/01 (L. 190/12 art. 1 co. 75 e ss.).

Per quanto qui interessa, ci soffermiamo su tale ultimo versante della normativa, per formulare delle
considerazioni in merito ai passaggi di rilievo.

L’Ufficio studi della Suprema Corte di Cassazione nell’immediatezza si è già pronunciato con una relazione
di asprissima critica al testo della nuova legge, e non a torto se si considera quanto segue.

Esaminiamo le modifiche al codice penale

L’art. 1 co. 75 L. 190/2012 interviene sul codice penale, principalmente:
– attraverso alcune modifiche di sostanza degli artt. 317 c.p. (concussione), 318 c.p. (corruzione cosiddetta
impropria) e 322 c.p. (istigazione alla corruzione);
– mediante introduzione di due nuove fattispecie delittuose agli artt. 319-quater c.p. (induzione indebita a
dare o promettere utilità) e 346-bis (traffico di influenze illecite);
– con un generale aggravamento delle sanzioni penali.

In merito all’intervento normativo sul precedente reato di Concussione previsto dall’art. 317 c.p., si osserva
che la condotta delittuosa originaria è stata in sostanza scissa in due diverse fattispecie criminose ora
contenute all’art. 317 come novellato ed all’art. 319-quater.
Prima nel reato di concussione era punito “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a
lui o a un terzo, denaro o altra utilità”.
Oggi:
– è punito per il reato di concussione (art. 317 c.p.) il solo pubblico ufficiale (non più l’incaricato di pubblico
servizio), solo quando costringe (non più quando induce) taluno a dare o promettere indebitamente denaro o
altra utilità;
– tanto il pubblico ufficiale quanto l’incaricato di pubblico servizio qualora inducano taluno a dare o
promettere indebitamente denaro o altra utilità, realizzeranno il diverso reato di “Induzione indebita a dare o
promettere utilità” (art. 319 quater c.p.).
Il risultato, ricavabile dal dato letterale, appare il seguente: ora l’incaricato di pubblico servizio che costriga
taluno alla dazione non è più perseguibile, non più a sensi art. 317 c.p. e neppure in base al nuovo art. 319-
quater.

Esaminiamo le modifiche ai reati di Corruzione per un atto d’ufficio (art. 318 c.p.) e Istigazione alla
corruzione (art. 322 c.p.):
si evidenzia come il legislatore si sia discostato, quanto alle finalità della dazione o promessa,
– sia dalla precedente impostazione che così disponeva: “per compiere un atto del suo ufficio”,
– sia da quanto previsto dalla Convenzione di Strasburgo che impone, agli artt. 2 e 3, di considerare reato la
corruzione attiva e passiva in caso di promesse, offerte o dazioni fatte affinchè il pubblico ufficiale “compia
o si astenga dal compiere un atto nell’esercizio delle sue funzioni”.

Oggi sono puniti ai sensi degli artt. 318 e 322 c.p.:
– il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che riceva indebitamente la dazione o la promessa
(318 c.p.) o che solleciti la dazione o promessa (322 co. 3 c.p.) semplicisticamente “per l’esercizio delle sue
funzioni o dei suoi poteri” e
– chiunque offra o prometta la dazione al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (322 co. 1 c.p.)
“per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”.

E’ evidente che tale modifica non è solo terminologica, ma è sostanziale perchè slega la condotta delittuosa
dal compimento di un atto.
E’ invece utilizzata una formula più ampia, ma sicuramente dai contorni alquanto sfumati, che determinerà
non pochi problemi interpretativi nell’applicazione della fattispecie normativa ai casi concreti.

Corruzione tra privati

L’art. 1 co. 76 L. 190/2012 modifica l’art. 2635 c.c. e introduce il reato di “corruzione tra privati”.

In realtà è una costruzione più nominale-concettuale di corruzione tra privati, che reale e sostanziale.

Infatti, anche sul punto appare chiaro che il legislatore si è discostato dal dettato della Convenzione di
Strasburgo, rimanendo legato nella sostanza al precedente reato di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa
di utilità” di cui al vecchio art. 2635 c.c.

La Convenzione di Strasburgo impone agli Stati firmatari, in base agli artt. 7 e 8, la punizione come reato
della corruzione attiva e passiva nel settore privato, intesa in comportamenti di promessa, offerta o dazione,
sollecito e ricezione di un vantaggio indebito, per sé o per terzi, in capo a persone che dirigano o lavorino in
un ente privato, affinchè questi compiano o si astengano dal compiere un atto in violazione dei loro doveri.

Il legislatore italiano nella L. 190/2012 ha invece disposto che il reato si perfeziona solo quando il soggetto
compie od omette in concreto atti in violazione dei propri obblighi e alla società derivi di fatto un
nocumento.
Non si tratta dunque di vera corruzione tra soggetti privati, ma di un “reato societario”, essendo solo una
violazione nei rapporti tra soggetto ed ente per cui opera.
Mentre la Convenzione di Strasburgo intende punire il comportamento di chi dia o prometta il vantaggio
indebito e di chi riceva la dazione o promessa del vantaggio stesso al fine di compiere un atto contrario ai
propri doveri,
oggi nell’art. 2635 c.c., come novellato, il reato sussiste solo se chi riceve il vantaggio indebito viene meno
ai propri obblighi verso la propria società e se causa un nocumento alla società stessa, altrimenti l’atto
corruttivo non è perseguito.
Il reato così come previsto dal legislatore italiano non è perciò diretto a garantire un comportamento etico sul
mercato e nella concorrenza.
L’unico segnale positivo in tale ultima direzione, a nostro avviso di scarso effetto pratico, si rinviene solo
nella previsione di procedibilità d’ufficio qualora dal reato derivi una distorsione della concorrenza.

Osservazioni ed interrogativi s’impongono per la corruzione tra privati sul lato attivo del corruttore: la
norma novellata prevede “Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo o secondo
comma è punito…”
A quale fine deve essere data o promessa l’utilità perché si configuri il reato?
Serve che sia compiuto od omesso un atto da parte del corrotto, in violazione dei propri obblighi, perché il
corruttore sia punito?
Deve derivare in concreto un nocumento alla società del corrotto?
Nulla dice in merito l’infelice formulazione della norma, che dovrà perciò trovare un correttivo normativo o
quantomeno giurisprudenziale.

Estensione dei reati presupposto causa di Responsabilità Amministrativa D.Lgs. 231/01

E’ importante interpretare correttamente il significato strategico per le imprese che emerge dal testo
normativo della L. 190/2012, art. 1 co. 77, in tema di estensione dei reati presupposto della Responsabilità
Amministrativa.

L’art. 1 co. 77 L. 190/2012 introduce tra i reati presupposto della Responsabilità Amministrativa D.Lgs.
231/01:
– all’art. 25 D.Lgs. 231/01 il reato di “Induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.)
– e alla nuova lettera s-bis dell’art. 25-ter il reato di “Corruzione tra privati”, quanto alla sola condotta
attiva del corruttore (art. 2635 co. 3 c.c.).

L’introduzione nel D.Lgs. 231/01 dell’art. 319 quater c.p., in realtà, nulla innova, in quanto la condotta ora
prevista come reato presupposto era già contemplata dal vecchio art. 317 c.p. che già costituiva reato
presupposto.

Vero nuovo reato presupposto è invece la “Corruzione tra privati” dal lato attivo del corruttore, prevista
dall’art. 2635 co. 3 c.c., con le problematiche già sopra esaminate circa i confini esatti di tale condotta
delittuosa.

Appare chiara la ragione per cui non è invece stato previsto l’inserimento tra i reati presupposto della
corruzione passiva tra privati. La formulazione della norma da parte del legislatore italiano, in contrasto
con la Convenzione di Strasburgo, richiede che il fatto determini un nocumento alla società del corrotto
perché si perfezioni il reato.
Dunque, dalla condotta reato è escluso l’interesse o il vantaggio dell’ente che è invece danneggiato e, di
converso, sussiste un interesse esclusivo del soggetto agente-corrotto (art. 5 co. 2 D.Lgs. 231/01).

Ancora una volta il legislatore è intervenuto con un’ennesima estensione dei reati presupposto, ormai
innumerevoli, della Responsabilità Amministrativa di società ed enti.

 

Documenti:

Convenzione Strasburgo 1999

Legge 190_2012 anticorruzione