Le Sezioni Unite della Cassazione Penale si sono pronunciate su vari importanti aspetti che concernono il rapporto tra procedura fallimentare e processo 231, partendo dal seguente quesito:
“Se, per disporre il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente a norma del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19, comma 2, con riferimento a beni di pertinenza della massa attiva di un fallimento, il giudice penale possa limitarsi ad accertare la confiscabilità dei cespiti, senza prendere in considerazione le esigenze tutelate dalla procedura concorsuale, o debba invece procedere ad una valutazione comparativa tra le ragioni di questa, e segnatamente dei creditori in buona fede, e quelle afferenti alla pretesa punitiva dello Stato e, in quest’ultimo caso, se la verifica delle ragioni dei singoli creditori, al fine di accertarne la buona fede, debba essere compiuta dal giudice penale o, invece, dal giudice fallimentare, eventualmente in applicazione analogica della disciplina dei sequestri di prevenzione di cui al titolo IV del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia)”.
IL FALLIMENTO NON ESTINGUE L’ILLECITO 231
Un primo principio espresso nella motivazione della sentenza non costituisce una novità, ma sancisce quanto già affermato dalla giurisprudenza:
“Deve escludersi che il fallimento della società determini l’estinzione dell’illecito previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001,… rilevato che il fallimento non è normativamente previsto quale causa estintiva dell’illecito dell’ente e non è possibile assimilare il fallimento della società alla morte del reo perchè una società in stato di dissesto, per la quale si apra la procedura fallimentare, non può dirsi estinta, tanto è vero che il curatore ha esclusivamente poteri di gestione del patrimonio al fine di evitare il depauperamento dello stesso e garantire la par condicio creditorum mentre la proprietà del patrimonio compete ancora alla società”.
LA CONFISCA 231 E’ SEMPRE OBBLIGATORIA E I DIRITTI DEI TERZI IN BUONA FEDE SONO SALVI ANCHE NELLA CONFISCA PER EQUIVALENTE
Quanto alla confisca ex art. 19, co. 1 e 2 D.Lgs. 231/01, le Sezioni Unite affermano i seguenti principi:
1) “L’applicazione della sanzione della confisca del prezzo o del profitto del reato prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, commi 1 e 2, non è lasciata alla discrezionalità del giudice, ma è obbligatoria”… “sotto il profilo lessicale il termine “può”, come è già stato posto in evidenza, segnala, non la facoltatività o la discrezionalità, ma il carattere eventuale della confisca per equivalente in relazione alla non scontata sussistenza dei due presupposti attinenti alla impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto ed alla necessità di individuare altri beni appartenenti all’ente responsabile”.
2) La clausola di salvaguardia del comma 1 dell’art. 19 “Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede” si riferisce anche alla confisca per equivalente. Si legge infatti nella sentenza: “La clausola di salvaguardia non è ripetuta nel D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, comma 2, ma è fuori contestazione che essa si riferisca anche al sequestro di valore perchè con il secondo comma si estende soltanto la possibilità di confisca di danaro e beni di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato, fermi restando, quindi, i limiti fissati dal comma 1 dello stesso articolo”.
IL SEQUESTRO 231 E LA PROCEDURA CONCORSUALE POSSONO COESISTERE
Venendo al quesito iniziale, la Sentenza sancisce la possibile coesistenza del sequestro finalizzato alla confisca ex D.Lgs. 231/01 con i vincoli sui beni derivanti dalla procedura concorsuale:
“Orbene i due vincoli possono coesistere e, se correttamente interpretato il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, l’uno non ostacola l’altro, anzi, sotto certi profili, si può dire che il sequestro prima e la confisca poi tutelano in misura rafforzata gli interessi del ceto creditorio”.
IL CURATORE NON E’ LEGITTIMATO AD IMPUGNARE IL SEQUESTRO 231
Secondo le Sezioni Unite: “il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19“.
Ciò in quanto: “il curatore… non può essere considerato come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei singoli creditori o del comitato dei creditori, ma deve essere visto come organo che svolge una funzione pubblica ed affianca il tribunale ed il giudice delegato per il perseguimento degli interessi dinanzi indicati” ed ancora “Il curatore… è un soggetto gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimento ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi, già indicati, propri della procedura fallimentare”
Se ne deve dedurre una ulteriore logica conseguenza che sarebbe stato bene fosse chiarita in modo espresso e cioè che, come già affermato in dottrina, in caso di fallimento l’ente non sta in giudizio 231 in persona del curatore, ma degli organi sociali che ne avevano la legale rappresentanza e che rimangono in carica per il compimento degli atti non vietati dalla procedura fallimentare.
Tale questione specifica era rimasta aperta e non risolta già in seno alla sentenza Cass. Pen. Sez. V n. 44824 del 2012, ove si legge soltanto che “la questione circa l’individuazione del soggetto legittimato a stare in giudizio nel processo di responsabilità amministrativa dell’ente è una questione processuale da risolvere nel processo…” .
LA COMPETENZA A DECIDERE SE IL DIRITTO DI UN TERZO PREVALGA SULLA CONFISCA 231 E’ DEL GIUDICE PENALE E NON DI QUELLO FALLIMENTARE
Le Sezioni Unite affermano il seguente principio: “La verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare“, chiarendo che “Quando, però, sia stata pronunciata sentenza definitiva di condanna dell’ente e sia stata disposta la confisca dei beni appartenenti allo stesso, il giudice competente a decidere sulla istanza del terzo non potrà che essere il giudice dell’esecuzione penale, che, ai sensi dell’art. 665 c.p.p. e ss., è chiamato a risolvere, su istanza delle parti interessate, tutte le questioni che attengono alla esecuzione dei provvedimenti giudiziari definitivi”.
I BENI SOTTOPOSTI A SEQUESTRO 231 POSSONO ESSERE VENDUTI IN SENO ALLA PROCEDURA FALLIMENTARE?
Fino a qui i principi espressi dalle Sezioni Unite appaiono chiari, ma laddove la sentenza in esame affronta i meccanismi di coesistenza del sequestro 231 e della procedura concorsuale nascono alcune perplessità di non pacifica soluzione.
Secondo le Sezioni Unite, tale coesistenza di vincoli non determinerebbe alcun pregiudizio in quanto “se venga disposta la confisca dei beni in pendenza di una procedura fallimentare sugli stessi, lo Stato potrà insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto, che sarà soddisfatto dopo che siano stati salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede” ed, in altro passaggio argomentativo, “lo Stato, come si è posto in evidenza, potrà far valere il suo diritto sui beni sottoposti a vincolo fallimentare, salvaguardando i diritti riconosciuti ai creditori, soltanto a conclusione della procedura“. Ciò secondo la Suprema Corte potrà avvenire “soltanto alla fine della procedura” quando “si potrà, previa vendita dei beni ed autorizzazione da parte del giudice delegato del piano di riparto, procedere alla assegnazione dei beni ai creditori” in quanto “è soltanto in questo momento che i creditori potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate“.
Dunque, si evidenzia che i terzi creditori potranno far valere avanti il Giudice Penale i propri diritti su quanto sequestrato o confiscato solo dopo la vendita fallimentare dei beni stessi, che dovrebbe dunque essere autorizzata e disposta in pendenza del sequestro ai fini della confisca 231. Ma ciò non è sicuramente previsto dall’art. 53 D.Lgs. 231/01, che prevede solo la possibilità di utilizzo e gestione dei beni sequestrati per garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, anche, secondo le Sezioni Unite, da parte del Curatore.
Ad alimentare le nostre perplessità è anche quanto affermato con Ordinanza della Cass. Pen. Sez.III n. 12639/2013: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte anche a sezioni unite – alla quale si intende senz’altro prestare adesione – il sequestro avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare. La valutazione che viene richiesta ai giudice della cautela reale sulla pericolosità della cosa non contiene margini di discrezionalità, in quanto la res è considerata pericolosa in base ad una presunzione assoluta: la legge vuole escludere che il bene sia rimesso in circolazione, sia pure attraverso l’espropriazione del reo, sicchè non può consentirsi che il bene stesso, restituito all’ufficio fallimentare, possa essere venduto medio tempore e il ricavato distribuito ai creditori”.
Ma se i beni sequestrati a fini di confisca non possono essere venduti e solo dopo la vendita e l’approvazione del piano di riparto i terzi “potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate”, quid iuris?
Cliccare qui per il testo della Sentenza Cass. Pen. Sez. Unite 11170/2015
Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca