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Seminario di due giornate organizzato da EUROCONFERENCE 
(varie sedi da ottobre a dicembre 2018)
CORPO DOCENTE:

Avv. Anna Di Lorenzo e Avv. Alberto Tenca

PROGRAMMA
PRIMI ASPETTI DA CONSIDERARE PER LA REDAZIONE DEL MODELLO 231
  • natura della responsabilità da prevenire con il Modello 231
  • ambito soggettivo e territoriale di applicazione della norma
  • elementi essenziali dell’illecito:
    • il reato presupposto
    • l’autore: soggetti apicali e sottoposti
    • interesse o vantaggio per l’Ente
  • i soggetti terzi che coinvolgono la responsabilità dell’Ente
APPROCCIO PRATICO ALL’ANALISI E VALUTAZIONE DEI RISCHI 
  • sviluppo operativo dell’attività di analisi
  • processi da analizzare in relazione alle fattispecie di reato presupposto
  • rilevanza della forma societaria, del sistema di amministrazione e delle deleghe
  • impostazione della mappatura dei rischi reato presupposto
  • discussione critica di diverse tecniche di valutazione del rischio
IMPOSTAZIONE DEL MODELLO 231
  • contenuti normativi
  • sviluppo di parte generale e speciale
  • previsione di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza
  • come utilizzare i Sistemi certificati (es. ISO 9000 e 14001 e OHSAS 18000)
SUGGERIMENTI OPERATIVI DI REDAZIONE DEI PROTOCOLLI DI PREVENZIONE
  • tecniche di redazione e contenuti essenziali
  • autoriciclaggio: questioni discusse e ‘approccio’ preventivo
  • fasi da regolamentare nei processi di acquisto e vendita per la prevenzione di molteplici reati
  • sicurezza sul lavoro: gli aspetti da gestire nel Modello 231
  • disamina di misure di prevenzione in materia ambientale
  • discussione in merito alla prevenzione di reati d’interesse dei partecipanti
L’ADEGUAMENTO DEL MODELLO 231 ALLE PRINCIPALI NOVITÀ 
  • la prevenzione del nuovo reato di istigazione alla corruzione tra privati ex art. 2635 bis c.c. e del reato di corruzione tra privati ex art. 2635 c.c. come di recente modificato
  • le Linee guida dell’ANAC: Determinazione 1134/2017 misure anticorruzione per le imprese e Modello 231
  • il nuovo Codice degli appalti e l’influenza sul Modello 231
  • la prevenzione alle ipotesi di riciclaggio di denaro alla luce della riforma del D.Lgs. 231/2007
  • la normativa sul whistleblowing: Legge 179/2017. Quali aspetti considerare nell’impostare i flussi informativi interni e le segnalazioni
  • il Regolamento privacy 679/2016: aspetti di interesse per l’impostazione dei protocolli
  • i nuovi reati presupposto in materia di razzismo e xenofobia e immigrazione clandestina
L’ORGANISMO DI VIGILANZA

  • aspetti critici nella composizione
  • bilanciamento delle indicazioni normative e giurisprudenziali con le esigenze pratico-operative

IL SISTEMA DISCIPLINARE 

  • come strutturare un sistema disciplinare “legittimamente applicabile”
  • i soggetti da sanzionare e i titolari del potere disciplinare
  • illeciti sanzionabili e tipologia di sanzioni
  • le sanzioni per i terzi e condizioni di irrogabilità
  • gli aspetti peculiari nel distacco e nella somministrazione
  • l’impatto della normativa sul whistleblowing

COME IMPOSTARE L’ATTIVITA’ DI FORMAZIONE E INFORMAZIONE 

  • soggetti destinatari dell’informazione e formazione
  • oggetto dell’informativa
  • previsioni contrattuali nei rapporti con i terzi

COME PROCEDERE PER L’AGGIORNAMENTO DEL MODELLO 231

  • motivi che determinano l’aggiornamento
  • i soggetti coinvolti nell’aggiornamento
  • iter da seguire
  • adozione ed attuazione dell’aggiornamento

UTILITA’ DEL MODELLO 231

  • esimente dalla responsabilità e strumento di difesa
  • sistema di organizzazione rilevante ai sensi del codice civile e della giurisprudenza penale
  • rating d’impresa e rapporti con il rating di legalità. Quale valenza ha il Modello 231?
  • ulteriori utilità

ASPETTI DA CONSIDERARE NELLA PROSPETTIVA PROCESSUALE

  • Accorgimenti essenziali per l’utilizzo del Modello 231 a difesa
  • Come porre tempestivamente l’Ente in condizioni di partecipare e difendersi nel procedimento 231

PRATICA PROFESSIONALE
Durante il corso verranno presi in esame casi pratici per concretizzare, tramite esempi, fac-simili e modelli, i passaggi “chiave” illustrati in aula.

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Il D.Lgs. 21/2018, che entrerà in vigore il 6.4.2018, ha abrogato alcune disposizioni normative concernenti reati, anche presupposto della Responsabilità 231, trasferendone il contenuto in nuovi articoli del codice penale.

In base all’art. 8 D.Lgs. 21/2018, “Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni abrogate dall’art. 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale…”.

Per quanto d’interesse, dunque:

  • il richiamo contenuto nell’art. 25-undecies D.Lgs. 231/01 all’abrogato art. 260 D.Lgs. 152/2006 va ora inteso riferito al nuovo art. 452-quaterdecies c.p. (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti)
  • il richiamo contenuto nell’art. 25-terdecies D.Lgs. 231/01 all’abrogato art. 3, co. 3-bis, L. 654/1975 va ora inteso riferito al nuovo art. 604-bis, co. 3, c.p. (Propaganda ed istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa)

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Da tempo ci si interroga in merito ai risvolti di una pronuncia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p., introdotto con D.Lgs. 28/2015, sul procedimento per l’accertamento della responsabilità 231 in capo alla società.

In dottrina, autorevoli esponenti (tra cui l’Avv. Maurizio Arena nel contributo “Tenuità del fatto e responsabilità dell’ente” del 26.3.2015) hanno sostenuto con valide argomentazioni fondate sul D.Lgs. 231/01 e sulla Relazione ministeriale al Decreto stesso, che la menzionata declaratoria di tenuità del fatto giova alla persona fisica, ma “non implica una conseguente esclusione della responsabilità della persona giuridica per quel reato”.

Non sono mancate tesi contrapposte ed, in particolare, si evidenzia come una Circolare della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, contenente indicazioni operative, avesse espresso la seguente considerazione: “La disciplina segnata dall’art. 8 del D.lvo n. 231/ 2001 prevede soltanto che l’estinzione del reato, salvo che nell’ipotesi di amnistia, non esclude la responsabilità amministrativa dell’ente con conseguente  prosecuzione del procedimento penale nei suoi confronti. Una simile clausola di salvaguardia non è stata introdotta anche con riferimento all’ istituto della tenuità del danno, sicché l’archiviazione per la causa di non punibilità in esame riguardante la persona fisica si estende senza dubbio anche a quella giuridica”.

La Corte di Cassazione, Sez. III Penale, con sentenza n. 9072 del 28.2.2018, è infine intervenuta nell’affermare il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. non esclude la responsabilità dell’ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto; non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto, emessa nei confronti della persona fisica”.

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Seminario organizzato da EUROCONFERENCE 
(varie sedi  e date maggio 2018)
CORPO DOCENTE:

Avv. Anna Di Lorenzo

 

PROGRAMMA
Le fattispecie di reato presupposto

Il Modello 231 per la sicurezza

  • Aspetti da gestire
  • Rapporti con il DVR e la documentazione della sicurezza

I soggetti della sicurezza

  • I soggetti della sicurezza
  • Il Datore di Lavoro: sviluppi giurisprudenziali
  • La delega di funzioni (art. 16 D.Lgs. 81/08)
  • Utilità del Modello 231 per il Datore di Lavoro delegante
  • Individuazione dei soggetti in base alle mansioni di fatto
  • I diversi compiti “normativi” dei soggetti della sicurezza

Tecniche di analisi del rischio reato presupposto

  • Modalità operative per l’impostazione dell’analisi
  • Informazioni utili da acquisire
  • Individuazione dei processi sensibili “sicurezza sul lavoro”
Protocolli di prevenzione

  • Tecniche di redazione e contenuti
  • Individuazione dei soggetti coinvolti
  • Le indicazioni dell’art. 30 D.Lgs. 81/08
  • Standard minimi per le PMI (D.M. 13.2.2014)
  • Previsione di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza
  • I diversi Sistemi di Gestione della sicurezza: criteri di utilizzabilità
  • Utilità dei protocolli “sicurezza sul lavoro” nella prevenzione di altri reati presupposto

Oggetto della formazione

Il sistema disciplinare

L’O.d.V. e la sicurezza sul lavoro

  • Composizione dell’O.d.V.
  • Oggetto dell’attività di vigilanza
  • Rapporti tra O.d.V. e RSPP

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Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

La gestione delle terre e rocce da scavo ed i possibili rischi reato presupposto 231 connessi

di Anna Di Lorenzo – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

 

Quando ci si pone dinanzi all’analisi dei processi a rischio reato presupposto della responsabilità ex D.Lgs. 231/01 e successivamente alla predisposizione delle misure di prevenzione, non si può prescindere dall’esaminare la realtà dell’Ente, la sua attività e tutto quanto ha rilievo sulla probabilità di commissione di reati presupposto.

Nella misura in cui si è chiamati ad esaminare i rischi reato in materia ambientale ed in particolare quelli relativi alla corretta gestione dei rifiuti, non si può omettere di analizzare quali tipologie di rifiuti tratta l’Ente, in quale punto della gestione della filiera dei rifiuti si pone e soprattutto, con riferimento a determinate specifiche attività, se il materiale trattato possa essere riconducibile alla tipologia di rifiuto o di sottoprodotto. Aspetto di rilievo, perché la non corretta conoscenza di ciò e la conseguente scorretta gestione potrebbero esporre a contestazioni sia di natura amministrativa che penale.

In tale ambito assume rilievo il DPR 13 giugno 2017, n. 120 “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che interviene su un tema da sempre oggetto di modifiche normative ed interpretative.

Il DPR dispone il riordino e la semplificazione della disciplina inerente la gestione delle terre e rocce da scavo, con riferimento a:

– terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti, provenienti da cantieri di piccole e grandi dimensioni[1];

– disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti;

– utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti;

– gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.

Altri aspetti importanti utili per l’esame del processo di gestione e per le ripercussioni conseguenti sono:

– la definizione di sottoprodotto[2];

– termini, tempi e modi relativi alla gestione del “sito di deposito intermedio[3],

– la dichiarazione da effettuare in caso di impiego di terre e rocce da scavo.

Da questo sintetico quadro si evince che gli Enti interessati a tale normativa sono sicuramente quelli che operano nel settore dell’edilizia, infrastrutture, opere pubbliche, gli Enti che si occupano di attività di bonifica e coloro che impiegano terre e rocce da scavo[4]. Ciò a conferma del fatto che proprio il tipo di attività svolta dall’Ente assume rilievo per valutare l’applicabilità ad esso di tale normativa e le conseguenze organizzative sull’Ente per adempiervi correttamente.

La non corretta o l’omessa classificazione ed analisi delle terre e rocce da scavo potrebbe esporre l’Ente alla commissione di determinate fattispecie di reati presupposto in materia ambientale, ma altresì, una volta classificate correttamente le terre e rocce da scavo come sottoprodotto, la non corretta gestione del “deposito intermedio” farebbe venir meno la qualificazione delle stesse come sottoprodotti, riconducendole invece “con effetto immediato” alla categoria di rifiuti con tutti i relativi oneri ed adempimenti connessi[5]. In linea con tale conclusione si presenta l’esclusione, dalla disciplina del DPR, all’art. 3, dei “rifiuti provenienti direttamente dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Rileviamo anche che il produttore delle terre e rocce da scavo, che dovrebbero essere reimpiegate, deve dimostrare che non sono stati superati i valori di “concentrazione soglia di contaminazione nel suolo” previsti per le bonifiche e che i materiali non costituiscono fonte diretta o interna di contaminazione per le acque sotterranee. Aspetto questo che, come gli altri, rileva per le fattispecie di reato presupposto ambientali.

Ciò considerato, riteniamo che, in base al tipo di attività svolta dall’Ente, vada preso in esame tale DPR, non solo per individuare le aree di rischio, ma soprattutto per poter predisporre idonei controlli di prevenzione che contengano regole di comportamento ed organizzazione, al fine di rispettare le previsioni normative e non incorrere in reati.

Tuttavia un controllo pregnante sulla provenienza e costituzione delle terre e rocce da scavo non spetta solamente al produttore che riutilizzi il sottoprodotto all’interno del sito di produzione, ma anche all’utilizzatore esterno, in quanto la mancata verifica del rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione comporta conseguenze in materia di inquinamento ambientale, potendo condurre alla realizzazione di fattispecie che costituiscono reato presupposto. Inoltre va considerata anche l’attività di trasporto di tale materiale che deve essere accompagnato dalla documentazione prescritta[6].

Non va omesso di valutare che il DPR in più punti rimarca che le procedure di gestione sono state previste per “garantire che la gestione e l’utilizzo delle terre e rocce di scavo come sottoprodotti avvenga senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente” e ancora si parla della finalità di assicurare “livelli di tutela ambientale e sanitaria garantendo controlli efficaci…[7].

Per tutto quanto detto e per la disciplina sottesa alla corretta gestione delle terre e rocce da scavo, quali sottoprodotti, in caso di inosservanza delle disposizioni del DPR 120/2017 ai fini della disciplina del D.Lgs. 231/01 potremo avere una pluralità di reati presupposto, alcuni strettamente connessi all’ambiente (quali ad esempio gestione dei rifiuti, inquinamento ambientale) altri legati ai rapporti con le autorità competenti a ricevere le “dichiarazioni di avvenuto utilizzo[8] e ad effettuare i controlli relativi.

[1] Sul punto il DPR indica le soglie numeriche per l’identificazione della tipologia di cantiere. Si vedano le definizioni di cantiere riportate all’art. 2 DPR 120/2017: lett. t) “cantieri di piccole dimensioni”, “cantiere in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità non superiore ai seimila metri cubi, calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, comprese quelle prodotte nel corso di attività o opere soggette a procedure di valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale di cui alla Parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”; lett. u) “cantieri di grandi dimensioni”, “cantiere in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiore ai seimila metri cubi (…)”; lett. v) dove sono definiti i “cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA” anch’essi soggetti alla disciplina del DPR.

[2] Ai sensi dell’art. 4 co. 2 DPR 120/2017, le terre e rocce da scavo per essere qualificate sottoprodotti devono soddisfare i seguenti requisiti:

a) sono generate durante la realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;

  1. b) il loro utilizzo è conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’articolo 21, e si realizza: 1)  nel corso dell’esecuzione della stessa opera nella quale è stato generato o di un’opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali; 2)  in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;
  2. c)  sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
  3. d)  soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III o dal Capo IV del presente regolamento, per le modalità di utilizzo specifico di cui alla lettera b).

[3] Si veda l’art. 2, co. 1 lett. n) del DPR 120/2017.

[4] A tal fine si vedano l’art. 1 co. 1 lett. a) e l’art. 2 lett. aa) da cui si possono evincere elementi utili per desumere le attività di rilievo dell’Ente ai fini del DPR.

[5] Si veda l’art. 5 del DPR 120/2017 che definisce il deposito intermedio e la modalità di gestione ed al comma 3 espressamente chiarisce “Decorso il periodo di durata del deposito intermedio indicato nel piano di utilizzo e nelle dichiarazioni di cui all’art. 21, viene meno, con effetto immediato, la qualifica di sottoprodotto delle terre e rocce non utilizzate in conformità al piano di utilizzo o alla dichiarazione di cui all’art. 21, e pertanto, tali terre e rocce sono gestite come rifiuti …””.

 

[6] Si veda l’art. 6 del DPR 120/2017.

[7] Si vedano rispettivamente gli artt. 4, co. 1 e 1, co. 2 del DPR 120/2017.

[8] Si veda l’art. 7 del DPR 120/2017.

Si segnala la recentissima introduzione di nuove fattispecie di reato presupposto della Responsabilità ex D.Lgs. 231/01.

Un primo intervento normativo è avvenuto ad opera della Legge 17 ottobre 2017 n. 161 in vigore dal 19 novembre, che all’art. 30, co. 4, ha inserito i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater nell’art. 25-duodecies del D.Lgs. 231/01.
Si tratta dei reati di cui all’art. 12, commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del D.Lgs. 286/1998, il cui contenuto di seguito si riporta:

“3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non e’ cittadina o non ha titolo di residenza permanente, e’ punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:  a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata e’ stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata e’ stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto e’ commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.

3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.

3-ter. La pena detentiva e’ aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3:  a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto. 

5. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Quando il fatto e’ commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena e’ aumentata da un terzo alla metà.” 

Un ulteriore intervento normativo è avvenuto ad opera della c.d. Legge europea 2017, approvata definitivamente in data 8 novembre 2017 ed ancora in attesa di pubblicazione, la quale, all’art. 5, comma 2, introduce nel D.Lgs. 231/01 l’art. 25-terdecies “Razzismo e xenofobia” che sanziona l’ente in caso di commissione dei delitti di cui all’art. 3, comma 3-bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654.

Si tratta del seguente reato, come modificato dal testo approvato della Legge europea 2017: “3-bis. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232″.

Le novità in questione dovranno essere tenute in considerazione nella predisposizione dei Modelli 231 e nell’aggiornamento di quelli esistenti, ponderando la possibilità di commissione di tali reati alla luce delle attività svolte dall’ente.

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Sono da oggi disponibili sul sito dell’ANAC le “Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli altri enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici” , approvate con Determinazione n. 1134 del 8.11.2017, depositata il 20.11.2017.

Tali Linee Guida erano da tempo attese, dopo che già ad aprile erano scaduti i termini per le osservazioni al testo in consultazione.

L’attesa è stata conseguente anche al parere del Consiglio di Stato (Adunanza della Commissione speciale del 20 aprile 2017, numero affare 650/2017) che aveva mosso le proprie osservazioni al testo, anche con particolare riferimento allo spinoso nodo dell’applicabilità della disciplina della Trasparenza alle società “quotate” secondo la definizione del D.Lgs. 175/2016.

Nel testo definitivo, su tale specifico punto, l’ANAC afferma Le presenti Linee guida non si applicano alle società quotate, sulle quali si è ritenuto necessario, anche sulla base del parere del Consiglio di Stato (punto 10) un ulteriore approfondimento, da svolgersi in collaborazione con il Ministero dell’economia e delle finanze e la Commissione nazionale per la società e la borsa”.

Definiti dunque gli obblighi in materia di anticorruzione e trasparenza per società ed enti controllati e partecipati, il termine per l’adeguamento è stato fissato al 31 gennaio 2018, in concomitanza con l’obbligo di adozione dei PTPCT.

Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

Modello 231 nelle Società controllate da P.A. ed Enti pubblici

di Alberto Tenca e Anna Di Lorenzo, con la collaborazione di Elena Zaggia – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

Il tema del rapporto tra “Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione”, ora dopo l’intervenuta riforma del D.Lgs. 97/2016 “Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza” (PTPCT), ed il Modello 231 è stato da sempre oggetto di valutazioni e considerazioni da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). In particolare le posizioni assunte dall’Autorità hanno posto l’interrogativo se l’adozione del Modello 231 per le controllate e partecipate pubbliche fosse un “obbligo” e non un “onere” come prevede il legislatore del D.Lgs. 231/01.

Nella determinazione n. 8 del 17 giugno del 2015, l’ANAC, al Punto 2., ha previsto: “Le presenti Linee guida muovono dal presupposto fondamentale che le amministrazioni controllanti debbano assicurare l’adozione del Modello di organizzazione e gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001 da parte delle società controllate. Oneri minori gravano, come si vedrà, per le società a partecipazione pubblica non di controllo, nei confronti delle quali le amministrazioni partecipanti si attivano per promuovere l’adozione del suddetto modello organizzativo”.

Con la riforma della L. 190/2012 ad opera del D.Lgs. 97/2016 il legislatore prende una nuova posizione sulla correlazione tra Modello ex D.Lgs. 231/2001 e PTPCT.

Il nuovo comma 2 bis inserito all’art. 1 L. 190/2012 enuncia infatti che: “Il Piano nazionale anticorruzione è adottato sentiti (…). Il Piano ha durata triennale ed è aggiornato annualmente. Esso costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e per gli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche per assicurare l’attuazione dei compiti di cui al comma 4, lettera a). Esso, inoltre, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione”.

Tale presa di posizione dà luogo a diverse possibili interpretazioni.

La bozza di Linee Guida dell’ANAC, posta in consultazione pubblica sul sito dell’Autorità fino al 26 aprile 2017, risponde innanzitutto all’esigenza di considerare il nuovo ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in tema di trasparenza, delineato dal citato comma 2 bis. Tali linee guida si ripropongono di sostituire la Determinazione 8/2015.

Al Punto 3.1.1. le Linee Guida in consultazione si esprimono come segue: “In una logica di coordinamento delle misure e di semplificazione degli adempimenti, le società integrano il “modello 231” con misure idonee a prevenire anche i fenomeni di corruzione e di illegalità in coerenza con le finalità della legge n. 190 del 2012. In particolare, quanto alla tipologia dei reati da prevenire, il d.lgs. n. 231 del 2001 ha riguardo ai reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell’interesse di questa (art. 5), diversamente dalla legge 190 che è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società. Nella programmazione delle misure occorre ribadire che gli obiettivi organizzativi e individuali ad esse collegati assumono rilevanza strategica ai fini della prevenzione della corruzione e vanno pertanto integrati e coordinati con tutti gli altri strumenti di programmazione e valutazione all’interno della società o dell’ente. Queste misure devono fare riferimento a tutte le attività svolte ed è necessario siano ricondotte in un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell’aggiornamento annuale e della vigilanza dell’A.N.AC. Se riunite in un unico documento con quelle adottate in attuazione del d.lgs. n. 231/2001, dette misure sono collocate in una sezione apposita e dunque chiaramente identificabili, tenuto conto che ad esse sono correlate forme di gestione e responsabilità differenti. È opportuno che esse siano costantemente monitorate anche al fine di valutare, almeno annualmente, la necessità del loro aggiornamento. Poiché il comma 2 bis dell’art. 1 della l. 190/2012, così come modificato dal d.lgs. 97/2016, ha reso obbligatoria l’adozione delle misure integrative del “modello 231”, è fortemente raccomandata, ove le società non vi abbiano già provveduto, l’adozione di tale modello, almeno contestualmente alle misure integrative anticorruzione. Le società che decidano di non adottare il “modello 231” e di limitarsi all’adozione del documento contenente le misure anticorruzione dovranno motivare tale decisione. L’ANAC, in sede di vigilanza, verificherà quindi l’adozione e la qualità delle misure di prevenzione della corruzione e monitorerà lo stato di adozione del “modello 231”. Le società, che abbiano o meno adottato il “modello 231”, definiscono le misure per la prevenzione della corruzione in relazione alle funzioni svolte e alla propria specificità organizzativa.

Rispetto quindi alla posizione assunta in seno alla Determinazione 8/2015, l’ANAC parrebbe ora voler lasciare alla libera decisione delle società controllate la scelta di dotarsi o meno del Modello 231.

Nelle more dell’approvazione, è intervenuto tuttavia un parere del Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 20 aprile 2017, numero affare 650/2017 – proprio in riferimento alle suddette Linee Guida.

Il Consiglio di Stato, al punto 9.1 del parere, si esprime accentuando maggiormente le intenzioni che sembrano sottointese dal legislatore con l’inserimento del nuovo co. 2 bis nell’art. 1 L. 190/2012: “Per quanto concerne le misure organizzative per la prevenzione della corruzione, nello schema delle linee guida si afferma che, alla luce dell’art. 1, comma 2 bis della L. 190/2012, l’adozione del Modello è “fortemente raccomandata” e che le società che decidono di non adottarlo e di limitarsi quindi ad adottare le misure integrative anticorruzione dovranno motivare tale decisione. Si osserva però che l’obbligo normativo sancito dall’art. 1 co. 2 bis, della L. 190/2012, sottintende l’adempimento dell’obbligo base definito dal D.Lgs. 231/2001, tant’è vero che si tratta di misure “integrative” che, altrimenti, risulterebbero prive della base organizzativa fondamentale. Peraltro, anche avendo riguardo alla ratio della previsione, l’elasticità consentita dalla formulazione delle linee guida non è funzionale al conseguimento degli obiettivi della normativa. Ne è conferma il fatto che le stesse linee guida, nel sottolineare la permanente necessità degli adempimenti anticorruzione da parte delle società pubbliche in liquidazione, sembra sottintendano (alle pagg. 22-23) l’adozione del c.d. Modello 231. Si suggerisce pertanto una formulazione che renda in modo adeguato la portata cogente dell’obbligo.

Secondo il Consiglio di Stato dunque la norma di cui all’art. 1 co. 2 bis L. 190/2012 determinerebbe un obbligo cogente per le società controllate di adozione del Modello 231.

Non ci resta che attendere l’approvazione delle Linee Guida per vedere la posizione che intenderà assumere l’ANAC, competente a sanzionare la mancanza o incompletezza dei Piani.