Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

Il procedimento penale 231 – La Cassazione prende posizione su vari aspetti controversi con la sentenza n. 41768/2017 della Sez. VI

di Alberto Tenca – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

 

Competenza per territorio e competenza per connessione rispetto a reati non oggetto di addebito 231, contestazione 231 con rinvio ai capi di imputazione per le persone fisiche, utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, indipendenza delle impugnazioni dell’imputato e dell’ente, queste le principali questioni procedimentali e processuali affrontate nelle 146 pagine della sentenza della Cassazione penale, Sez. VI, n. 41768 depositata il 13.9.2017.

Con tale pronuncia la Suprema Corte ha assunto precisa e motivata posizione su alcuni degli aspetti più controversi della disciplina processual-penalistica dell’accertamento della Responsabilità degli enti, in bilico tra norme del codice di procedura penale e disposizioni speciali di cui al D.Lgs. 231/01.

Competenza per territorio e connessione    

“Il <<giudice penale competente>> a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente è il medesimo <<giudice penale competente>> per i reati dai quali gli stessi dipendono, anche se la sua competenza in relazione a questi ultimi discende dall’applicazione delle regole di connessione”.

La Cassazione, dunque, sancisce la competenza in relazione al procedimento 231 in capo al giudice, non solo astrattamente, ma in concreto competente a decidere in merito al reato presupposto, a nulla rilevando che tale competenza sia determinata per connessione rispetto ad un diverso reato addebitato esclusivamente a persone fisiche.

Tale conclusione sarebbe per la Corte in linea con l’intenzione del legislatore tesa ad “agevolare il più possibile, la celebrazione di un simultaneus processus ed evitare contrasti di giudicato con conseguenti giudizi di revisione”.

Contestazione 231 con rinvio ai capi di imputazione per le persone fisiche

Secondo la Suprema Corte non è affetta da nullità la contestazione nei confronti dell’ente, laddove, come nel caso all’esame, gli elementi essenziali della stessa siano ricavabili dal rinvio ai capi di imputazione a carico delle persone fisiche.

La sentenza fa salva la contestazione, quanto all’indicazione dei rapporti ex art. 5 D.Lgs. 231/01 tra imputati persone fisiche ed ente, in quanto la contestazione stessa “opera un espresso analitico riferimento ai capi di imputazione addebitati alle persone fisiche, al dichiarato fine tanto dell’individuazione dei singoli reati-presupposto, quanto del tipo di rapporto intercorrente… tra l’ente e la persona fisica che agiva per suo conto”.

Il rinvio al contenuto di altri capi accusatori sanerebbe le lacune della contestazione specifica all’ente anche con riguardo all’individuazione dei requisiti di interesse e vantaggio. Si legge infatti: “è vero che il capo 90.f non esplicita puntualmente il profilo del vantaggio o dell’interesse dell’ente. Tuttavia, le singole contestazioni cui fa rinvio il capo 90.f consentono di individuare i vantaggi indebitamente conseguiti dalle società… in relazione a ciascun reato e gli interessi per le stesse illecitamente perseguiti”.

Utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche

La questione specifica è da sempre stata oggetto di dibattito dottrinale. Parte della dottrina escludeva l’utilizzabilità delle intercettazioni per l’accertamento dell’illecito amministrativo, in considerazione del fatto che le intercettazioni vengono autorizzate dal giudice solo in presenza di uno dei reati previsti dall’art. 266 c.p.p., non quindi in caso di “illeciti amministrativi dipendenti da reato”. Altra parte della dottrina riteneva che le intercettazioni fossero utilizzabili per effetto del richiamo alle regole generali del rito penale, anche al di fuori della simultaneità processuale, ovviamente solo nei casi in cui ciò sia consentito in relazione al particolare reato presupposto che si persegue.

In giurisprudenza si è spesso assistito, in concreto, ad un ampio utilizzo delle intercettazioni telefoniche, effettuate in relazione ai reati presupposto, anche nei confronti dell’ente incolpato ai sensi del D.Lgs. 231/01.

Un esempio è dato dalla sentenza n. 37712/14 della Corte di Cassazione, II Sezione Penale, che espressamente pone in risalto le risultanze di intercettazioni telefoniche in sede cautelare 231, al fine di trarre da esse conferma circa “la sussistenza del concreto pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede”.

La recentissima sentenza qui in esame affronta direttamente la questione, per rispondere alle doglianze della difesa, affermando che “è indiscusso che le disposizioni del codice di procedura penale in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni si applichino anche nei confronti degli enti”.

La motivazione si fonda innanzitutto sul disposto degli artt. 34 e 35 D.Lgs. 231/01 che richiamano l’applicabilità delle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili e l’applicabilità all’ente delle disposizioni processuali relative all’imputato. Dettati normativi che, secondo la Corte, sarebbero corroborati dalla Relazione Ministeriale al D.Lgs. 231/01 laddove si osserva che “Poiché l’illecito penale è uno dei presupposti della responsabilità, occorre disporre di tutti i necessari strumenti di accertamento di cui è provvisto il procedimento penale…”.

La sentenza richiama “il consolidato orientamento giurisprudenziale”, secondo cui “i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per uno dei reati rientranti tra quelli indicati nell’art. 266 c.p.p. sono utilizzabili anche con riferimento ad altri reati che emergano dall’attività di captazione, ancorchè per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite, purchè tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dei reati per cui si procede separatamente vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, cosicchè il relativo procedimento possa ritenersi non diverso rispetto al primo, ai sensi dell’art. 270 c.p.p., comma 1”.

Da tale orientamento la Suprema Corte deduce che “sembra ragionevole concludere che i risultati desumibili dalle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ordinate per il reato presupposto sono comunque utilizzabili anche per accertare la responsabilità dell’ente, ed anche se il procedimento relativo a quest’ultimo sia stato formalmente separato per vicende successive. Invero, pure a voler sottolineare che altro è il reato presupposto ed altro è l’illecito amministrativo dipendente dal reato presupposto, è innegabile l’esistenza di una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato”.

Indipendenza delle impugnazioni dell’imputato e dell’ente

Sul punto la Suprema Corte afferma che “… le impugnazioni dell’imputato persona fisica e dell’ente sono e restano tra di loro indipendenti: è solo l’eventuale risultato positivo che si estende per evitare giudicati contrastanti che potrebbero imporre la revisione della sentenza dichiarativa di responsabilità nei confronti dell’ente…”.

Tale principio, che discenderebbe da un lato dalla “limitazione soggettiva” prevista dall’art. 71 D.Lgs. 231/01, che individua nell’ente e nel pubblico ministero i soli soggetti legittimati ad impugnare le sentenze che applichino le “sanzioni amministrative” 231, dall’altro dall’art. 72 del decreto stesso, laddove prevede che le impugnazioni di imputato ed ente “giovano, rispettivamente, all’ente e all’imputato…”, determina che “… l’imputato persona fisica autore del reato presupposto, anche quando sia rappresentante legale e socio della persona giuridica, non è legittimato, né ha interesse ad impugnare il capo della sentenza relativo all’affermazione di responsabilità amministrativa dell’ente…”.

Queste sono solo alcune delle interessanti posizioni assunte dalla Suprema Corte in seno alla sentenza in oggetto, cui altre se ne aggiungono sul piano processuale e sostanziale e con le quali non sarà possibile non confrontarsi nell’esperimento della difesa penale degli enti.

 

A sei anni ormai dall’ingresso nel catalogo dei reati presupposto dei reati ambientali, avvenuto con il D.Lgs. 7 luglio 2011 n. 121, entrato in vigore il 16 agosto 2011, spesso tra gli “operatori della 231” ci si ritrova a domandarsi come poter impostare al meglio la prevenzione in seno ai Modelli di organizzazione e gestione e quali aspetti e comportamenti considerare in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 727 bis e 733 bis c.p.

Risulta allora utile, anche con riferimento alle definizioni di “impatto trascurabile”, “quantità trascurabile” e di “habitat”, andare a riesaminare la Relazione n. III/09/2011 della Corte di Cassazione, che potrà fornire utili spunti interpretativi da utilizzare come suggerimenti organizzativi nell’ottica di prevenzione dei rischi reato presupposto.

Cliccare qui per il testo della Relazione n. III/09/2011

Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

D.Lgs. 254/2016 – Dichiarazioni di carattere non finanziario e Modello 231

di Alberto Tenca e Anna Di Lorenzo

Il D.Lgs. 30 dicembre 2016 n. 254, in attuazione della Direttiva 2014/95/UE, introduce nel nostro ordinamento l’obbligo per determinati enti di redigere per ogni esercizio finanziario una dichiarazione di carattere non finanziario volta ad “assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta”, avente ad oggetto temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani ed alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.

Gli enti in tal senso obbligati sono gli “enti di interesse pubblico” indicati all’art. 16 co. 1, D.Lgs. 39/2010 (società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell’UE, banche, imprese di assicurazione e riassicurazione) ove superino il limite dimensionale di 500 dipendenti e 20 milioni di euro come totale dello stato patrimoniale o 40 milioni di euro come totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni.

La normativa europea è stata dettata in considerazione del riconoscimento che “la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un’economia globale sostenibile, coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell’ambiente”.

La normativa italiana che ne è scaturita con il D.Lgs. 254/2016 determina effetti rilevanti sul piano dei Modelli 231, per quanto di seguito esposto.

Principali contenuti normativi di interesse

Per meglio comprendere l’impatto di tale norma sotto l’aspetto del D.Lgs. 231/01, appare necessario esaminarne sinteticamente i contenuti.

La “dichiarazione di carattere non finanziario”, che gli indicati “enti di interesse pubblico” hanno l’obbligo di redigere, deve descrivere necessariamente, oltre alle politiche praticate ed ai principali rischi, “il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività d’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231…” (art. 3, co. 1, lett. a).

Tale dichiarazione, che può essere “individuale” “consolidata”, quest’ultima ove redatta da enti di interesse pubblico che siano società madri di un “gruppo di grandi dimensioni”, deve essere redatta dagli Amministratori come dichiarazione distinta o contenuta nella Relazione sulla gestione, ma in ogni caso deve essere messa a disposizione dell’Organo di controllo e del soggetto incaricato della revisione legale entro gli stessi termini previsti per la presentazione del progetto di bilancio e deve essere pubblicata sul registro delle imprese.

L’Organo di controllo deve vigilare sull’osservanza della norma e riferirne nella relazione annuale all’assemblea (art. 3 co. 7).

Il soggetto incaricato della revisione legale deve verificarne la predisposizione e il soggetto stesso o altro appositamente designato, purchè abilitato allo svolgimento della revisione legale, deve esprimere apposita “attestazione circa la conformità delle informazioni fornite”, tra le quali anche, ricordiamolo, la descrizione dell’eventuale Modello 231 (art. 3 co. 10).

In caso di inosservanza sono previste a carico di Amministratori, Organi di controllo e soggetti incaricati della revisione legale pesanti sanzioni amministrative, la cui irrogazione, previo accertamento delle violazioni, è demandata alla Consob secondo proprio regolamento il cui testo è stato posto in consultazione il 21 luglio 2017.

Impatti sui Modelli ex D.Lgs. 231/01

Dal contesto delle disposizioni sopra sinteticamente riportate, emerge la rilevanza che il Modello 231 assume quale specifico contenuto della dichiarazione, per cui la norma in esame costituisce un nuovo espresso riconoscimento legislativo dell’indiscutibile importanza dei Modelli 231 nel contesto dell’organizzazione e gestione degli enti.

Si deve inoltre considerare come i principali contenuti della dichiarazione, ulteriori rispetto alla descrizione del “modello aziendale”, riguardino proprio aspetti che trovano gestione nel Modello 231 e, quindi, monitoraggio da parte dell’Organismo di Vigilanza ex art. 6 D.Lgs. 231/01. Si pensi ad esempio ai “temi ambientali” ed, in particolare alle “emissioni di gas ad effetto serra”, alle “emissioni inquinanti” ed all’impatto sull’ambiente, o ancora all’impatto sulla salute e sicurezza, alla “gestione del personale” ed alla “lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva”.

Ne consegue che negli enti obbligati alla dichiarazione in esame ed in quelli che la redigono su base volontaria ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 254/2016, non solo gli Amministratori, ma anche gli Organi di controllo ed i soggetti incaricati della revisione legale sono tenuti evidentemente ad una pregnante conoscenza della situazione di attuazione ed aggiornamento dei Modelli 231, che dovrà necessariamente realizzarsi mediante un consolidato costante confronto con l’Organismo di Vigilanza.

Sotto diverso profilo, il fatto che la dichiarazione di carattere non finanziario si ponga sullo stesso piano della Relazione sulla gestione, sia rivolta ai soci, soggetta alla vigilanza degli Organi di controllo e sottoposta al potere di controllo e sanzionatorio della Consob, determina la possibilità che nel redigerla siano commessi taluni reati presupposto della responsabilità ex D.Lgs. 231/01, che il Modello 231 dovrà quindi preoccuparsi di prevenire. Si pensi, ad esempio, alla possibilità che dichiarazioni non veritiere integrino i reati di “Impedito controllo” ex art. 2625 c.c., “Illecita influenza sull’assemblea” ex art. 2636 c.c. (reato che la giurisprudenza ritiene configurabile anche ove le deliberazioni dei soci siano influenzate da dichiarazioni mendaci o reticenti) o “Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza” ex art. 2638 c.c. (in primis la Consob).

I Modelli 231 di tali enti dovranno quindi essere aggiornati per prevedere misure di prevenzione volte a garantire la veridicità e completezza dei contenuti della dichiarazione in esame.
Di aiuto nell’individuare gli aspetti che il Modello 231 dovrà considerare a tal fine, si ritene possa essere quanto previsto dalla Consob nel documento in consultazione del 21 luglio 2017 con riferimento alle responsabilità degli Organi di controllo.

Si legge infatti, al punto 2.3, penultimo paragrafo, di tale documento: “considerato che la corretta predisposizione della DNF [dichiarazione di carattere non finanziario] rappresenta, come sopra detto, l’esito di un elaborato processo di valutazione, che consenta, in base al principio di materialità, di individuare le informazioni necessarie ad assicurare la comprensione dell’attività dell’impresa e dei suoi impatti sui temi non finanziari indicati dal decreto, anche le funzioni di controllo attribuite al collegio sindacale sulla conformità alla legge della DNF e la sua completezza si sostanziano principalmente in un’attività di vigilanza sull’adeguatezza di tutte le procedure, i processi e le strutture che presiedono alla produzione, rendicontazione, misurazione e rappresentazione dei risultati e delle informazioni di carattere non finanziario.

1789
Seminario organizzato da EUROCONFERENCE 
(varie sedi da novembre a dicembre 2017)
CORPO DOCENTE:

Avv. Anna Di Lorenzo

PROGRAMMA
Le fattispecie di reato presupposto

Il Modello 231 per la sicurezza

  • Aspetti da gestire
  • Rapporti con il DVR e la documentazione della sicurezza

I soggetti della sicurezza

  • I soggetti della sicurezza
  • Il Datore di Lavoro: sviluppi giurisprudenziali
  • La delega di funzioni (art. 16 D.Lgs. 81/08)
  • Utilità del Modello 231 per il Datore di Lavoro delegante
  • Individuazione dei soggetti in base alle mansioni di fatto
  • I diversi compiti “normativi” dei soggetti della sicurezza

Tecniche di analisi del rischio reato presupposto

  • Modalità operative per l’impostazione dell’analisi
  • Informazioni utili da acquisire
  • Individuazione dei processi sensibili “sicurezza sul lavoro”
Protocolli di prevenzione

  • Tecniche di redazione e contenuti
  • Individuazione dei soggetti coinvolti
  • Le indicazioni dell’art. 30 D.Lgs. 81/08
  • Standard minimi per le PMI (D.M. 13.2.2014)
  • Previsione di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza
  • I diversi Sistemi di Gestione della sicurezza: criteri di utilizzabilità
  • Utilità dei protocolli “sicurezza sul lavoro” nella prevenzione di altri reati presupposto

Oggetto della formazione

Il sistema disciplinare

L’O.d.V. e la sicurezza sul lavoro

  • Composizione dell’O.d.V.
  • Oggetto dell’attività di vigilanza
  • Rapporti tra O.d.V. e RSPP

 

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1668
Seminario organizzato da EUROCONFERENCE 
(varie sedi da ottobre a dicembre 2017)
CORPO DOCENTE:

Avv. Alberto Tenca

PROGRAMMA

Idoneità del Modello 231 e sua efficace attuazione

  • Le valutazioni del Giudice

Indagini di Polizia Giudiziaria e ruolo del Pubblico Ministero

  • Notizia di reato ed esercizio dell’azione penale 231
  • Provvedimenti irrogabili in fase di indagini: sequestro probatorio, conservativo e misure cautelari
  • Prescrizione e decadenza

La difesa tecnica nel procedimento e nel processo

  • Rappresentanza, costituzione e contumacia dell’Ente: le cause di inammissibilità degli atti difensivi
  • Le ragioni di incompatibilità nella difesa comune dell’Ente e dell’indagato
  • Le indagini difensive
  • Utilizzo del Modello 231 ex ante ed onere della prova a fini esimenti
  • La prova dell’elusione fraudolenta del Modello 231
  • La prova della vigilanza dell’O.d.V.
  • Tempi, modi ed utilità del Modello 231 ex post nel procedimento cautelare, nel processo ordinario e nei riti alternativi

Diversi ruoli nel procedimento e nel processo

  • I professionisti coinvolti nella difesa: l’avvocato, il commercialista e il consulente aziendale

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1644
Seminario di due giornate organizzato da EUROCONFERENCE 
(varie sedi da ottobre a dicembre 2017)
CORPO DOCENTE:

Avv. Anna Di Lorenzo e Avv. Alberto Tenca

PROGRAMMA
PRIMI ASPETTI DA CONSIDERARE PER LA REDAZIONE DEL MODELLO 231

  • Natura della responsabilità da prevenire con il Modello 231
  • Ambito soggettivo e territoriale di applicazione della norma
  • Elementi essenziali dell’illecito:
    • il reato presupposto
    • l’autore: soggetti apicali e sottoposti
    • interesse o vantaggio per l’Ente
  • I soggetti terzi che coinvolgono la responsabilità dell’Ente

UTILITA’ DEL MODELLO 231

  • Esimente dalla responsabilità e strumento di difesa
  • Sistema di organizzazione rilevante ai sensi del codice civile e della giurisprudenza penale
  • Rating d’impresa e rapporti con il rating di legalità. Quale valenza ha il Modello 231?
  • Ulteriori utilità

APPROCCIO PRATICO ALLA REDAZIONE DEL MODELLO 231

Tecniche di analisi e valutazione dei rischi

  • Sviluppo operativo dell’attività di analisi
  • Processi da analizzare in relazione alle fattispecie di reato presupposto
  • Rilevanza della forma societaria, del sistema di amministrazione e delle deleghe
  • Impostazione della mappatura dei rischi reato presupposto
  • Discussione critica di diverse tecniche di valutazione del rischio

Impostazione del Modello 231

  • Contenuti normativi
  • Sviluppo di parte generale e speciale
  • Previsione di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza
  • Come utilizzare i Sistemi certificati (es. ISO 9000 e 14001 e OHSAS 18000)

Suggerimenti operativi di redazione dei protocolli di prevenzione

  • Tecniche di redazione e contenuti essenziali
  • Autoriciclaggio: questioni discusse e ‘approccio’ preventivo
  • Fasi da regolamentare nei processi di acquisto e vendita per la prevenzione di molteplici reati
  • Sicurezza sul lavoro: gli aspetti da gestire nel Modello 231
  • Disamina di misure di prevenzione in materia ambientale
  • Discussione in merito alla prevenzione di reati d’interesse dei partecipanti

Le principali novità rilevanti per il Modello 231

  • La prevenzione del nuovo reato di istigazione alla corruzione tra privati ex art. 2635 bis c.c. e del reato di corruzione tra privati ex art. 2635 c.c. come di recente modificato
  • Le misure anticorruzione per le imprese ed il Modello 231 secondo le indicazioni A.N.A.C.
  • Il nuovo Codice degli appalti e l’influenza sul Modello 231
  • La prevenzione alle ipotesi di riciclaggio di denaro alla luce della Direttiva Antiriciclaggio n. 849/2015
  • L’evoluzione della normativa sul whistleblowing. Quali aspetti considerare nell’impostare i flussi informativi interni e le segnalazioni.
  • Il Regolamento privacy 679/2016: aspetti di interesse per l’impostazione dei protocolli

L’organismo di vigilanza

  • Aspetti critici nella composizione
  • Bilanciamento delle indicazioni normative e giurisprudenziali con le esigenze pratico-operative

Il sistema disciplinare

  • Come strutturare un sistema disciplinare “legittimamente applicabile”
  • I soggetti da sanzionare e i titolari del potere disciplinare
  • Illeciti sanzionabili e tipologia di sanzioni
  • Le sanzioni per i terzi e condizioni di irrogabilità
  • Gli aspetti peculiari nel distacco e nella somministrazione

L’EFFICACE ATTUAZIONE DEL MODELLO 231

  • Soggetti destinatari dell’informazione e formazione
  • Oggetto dell’informativa
  • Previsioni contrattuali nei rapporti con i terzi

L’AGGIORNAMENTO DEL MODELLO 231

  • Motivi che determinano l’aggiornamento
  • I soggetti coinvolti nell’aggiornamento
  • Iter da seguire
  • Adozione ed attuazione dell’aggiornamento

ASPETTI DA CONSIDERARE NELLA PROSPETTIVA PROCESSUALE

  • Accorgimenti essenziali per l’utilizzo del Modello 231 a difesa
  • Come porre tempestivamente l’Ente in condizioni di partecipare e difendersi nel procedimento 231
PRATICA PROFESSIONALE
Durante il corso verranno presi in esame casi pratici per concretizzare, tramite esempi, fac-simili e modelli, i passaggi “chiave” illustrati in aula.

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Il D.Lgs. 15 marzo 2017 n. 38 ha modificato il testo dell’art. 2635 c.c. (Corruzione tra privati) ed ha introdotto il reato di “Istigazione alla corruzione tra privati” di cui all’art. 2635-bis c.c., oltre a prevedere pene accessorie alla condanna nell’art. 2635-ter.

L’impatto sul D.Lgs. 231/01 risulta alquanto rilevante, poichè tale nuova norma interviene sulla lettera s-bis) dell’art. 25-ter, aggravando le sanzioni pecuniarie in relazione al reato presupposto di “Corruzione tra privati”, introducendo il nuovo reato presupposto di “Istigazione alla corruzione tra privati” e prevedendo per entrambi i reati le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2.

Si riporta al presente link, il testo della norma, aggiornato a seguito del D.Lgs. 15 marzo 2017 n. 38, pubblicato il 30 marzo 2017.

Riportiamo di seguito il testo del nostro articolo, già pubblicato sul settimanale giuridico “Euroconference Legal”.

 

Introduzione del reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” tra i reati presupposto della Responsabilità 231

di Alberto Tenca e Anna Di Lorenzo – Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

 

La Legge 29 ottobre 2016, n. 199, entrata in vigore il 4.11.2016, rappresenta un nuovo emblematico esempio dell’incessante estensione dei reati presupposto della Responsabilità 231.
Il dato di esperienza nella produzione normativa, che dal 2001 ad oggi non ha conosciuto soluzione di continuità, induce ormai a ritenere consolidato nel nostro ordinamento un modus operandi del legislatore volto ad inserire nel testo del D.Lgs. 231/01 un reato, di nuova introduzione od oggetto di riforma alla luce del particolare allarme sociale che ingenera, estendendo ad esso la Responsabilità amministrativa degli enti quale principale strumento di contrasto.

Nel caso di specie, la Legge 199/2016 ha operato un intervento volto a rafforzare il contrasto al cosiddetto “caporalato”, modificando il testo dell’art. 603-bis c.p. concernente il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” introdotto per la prima volta con il D.L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. 148/2011.

Rispetto al testo previgente, volto a punire la condotta di chi svolgesse “un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”, la nuova fattispecie risulta sicuramente ampliata.

Il reato in esame, oggi, risulta slegato dal requisito dello svolgimento di “un’attività organizzata di intermediazione”, andando a colpire non solo chi “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento…”, ma altresì chiunque “utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.

A ciò deve aggiungersi che integra il reato de quo, rispetto alla fattispecie previgente, anche la condotta non caratterizzata da violenza, minaccia o intimidazione, posto che la violenza e la minaccia sono divenute oggi circostanze aggravanti e non più elementi costitutivi del reato.

Anche gli “indici di sfruttamento” enunciati dall’art. 603-bis c.p. assumono una connotazione più ampia, essendo oggi alcuni di essi parametrati, ad esempio, non più a condotte sistematiche di sottoretribuzione e violazione delle norme su orari, riposi, aspettativa e ferie, bensì a siffatte condotte anche solo “reiterate”.

Di particolare rilievo è anche l’indice di sfruttamento relativo alla “sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro” che oggi, a differenza di prima, rileva anche laddove non sia tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale.

Il “grave pericolo” infatti rileva ora solo quale circostanza aggravante ai sensi del comma 4 punto 3).

Inoltre evidenziamo che nel contesto di tale indice non rileva neppure la reiterazione della condotta.

L’intervento legislativo mira al contrasto del reato in esame anche attraverso altri strumenti, quali:

– l’introduzione, con l’art. 603-bis.1 c.p., di un’attenuante in caso di comportamenti collaborativi;

– una nuova ipotesi di confisca obbligatoria, con l’introduzione dell’art. 603-bis.2 c.p.;

– la previsione di un “controllo giudiziario dell’azienda”, con nomina di un “amministratore giudiziario” destinato ad affiancare l’imprenditore;

– la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza, con modifica dell’art. 380, co. 2 c.p.p.;

– l’estensione al reato in esame della particolare confisca di cui all’art. 12-sexies D.L. 306/1992.

Venendo a quanto qui maggiormente interessa, l’art. 6 della L. 199/2016, introduce il reato di cui all’art. 603-bis c.p. in seno all’art. 25-quinquies, co. 1, lett. a) D.Lgs. 231/01, prevedendo per l’ente le stesse gravissime sanzioni disposte per i diversi reati di “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” (art. 600 c.p.), “Tratta di persone” (art. 601 c.p.) e “Acquisto e alienazione di schiavi” (art. 602 c.p.):

– sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote;

– sanzioni interdittive di cui all’art. 9, co. 2 D.Lgs. 231/01, senza esclusioni, per una durata non inferiore ad un anno;

– interdizione definitiva dall’attività, se l’ente o una sua unità organizzativa sono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del reato.

Appare dunque evidente la pericolosità insita nella previsione di tali sanzioni estreme, collegate ad un reato non più limitato a chi svolge attività organizzata di intermediazione, non più legato a violenza e minaccia come elementi costitutivi e connotato da “uno sfruttamento” i cui indici si rinvengono nella semplice reiterazione di condotte di retribuzione difforme, violazione delle norme su orario, riposo, aspettativa e ferie o nella mera sussistenza di violazione delle norme antinfortunistiche, anche non tali da esporre a pericolo il lavoratore.

Il tutto con l’unico connotato caratteristico dell’esistenza di uno “stato di bisogno” del lavoratore di cui il reo approfitti.

Rileviamo come, a contemperamento di una siffatta estensione nella possibile applicazione della norma, si debba tuttavia considerare la natura dolosa del reato in esame con la conseguenza che le condotte costituenti “indice di sfruttamento” rileveranno solo ove dolosamente preordinate a sottoporre “i lavoratori a condizioni di sfruttamento” con consapevolezza e volontà di approfittare “del loro stato di bisogno”.

Quanto detto va considerato anche nell’ottica della revisione dei Modello 231 con l’introduzione di eventuali nuovi protocolli di prevenzione e dell’impostazione dell’analisi per far emergere comportamenti a rischio.

Sicuramente assumerà rilievo in tale ambito la gestione del personale, in seno alla quale dovrà essere posta attenzione, ad esempio, ad aspetti inerenti la definizione e gestione della retribuzione e l’organizzazione dei turni di lavoro che possono avere impatto sugli aspetti disciplinati al comma 3 punto 2).

L’organizzazione della sicurezza e la gestione ed attuazione dei relativi adempimenti assumono ora ulteriore rilievo, quali possibili fonti di Responsabilità 231, indipendentemente e non più solo in connessione al verificarsi di infortuni. Quindi meriteranno una rivalutazione ed un riesame anche tali aspetti e la politica d’impresa sulla sicurezza, magari già gestiti da specifici protocolli di prevenzione e procedure.

1883

Segnaliamo il convegno in oggetto organizzato dalla Camera Penale Vicentina
che si terrà il 18.11.2016.

Interverranno quali relatori:

Prof. Avv. Massimo CERESA GASTALDO
Professore Ordinario di Procedura Penale presso l’Università Luigi
Bocconi di Milano, nonchè membro della Commissione di studio di recente istituita
per la modifica del D.Lgs. 231/01
Dott.ssa Serena CHIMICHI
Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Vicenza
Avv. Alberto TENCA
Avvocato del Foro di Padova

cliccare qui per la locandina

gli avvocati potranno iscriversi tramite il sito dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza

Il Senato ha definitivamente approvato il 28 luglio 2016, il DDL della “Legge di delegazione europea 2015”, ora in attesa di pubblicazione.

L’art. 19 delega il Governo ad attuare, entro tre mesi dall’entrata in vigore, un significativo intervento sulla fattispecie di reato di corruzione tra privati ex art. 2635 c.c., già reato presupposto della responsabilità 231.

L’excursus normativo trae origine dalla Decisione Quadro 2003/568/GAI del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato.
Tale Decisione Quadro chiedeva agli Stati membri di prevedere l’illiceità penale delle seguenti condotte:

a) promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un’entità del settore privato, affinché essa compia o ometta un atto in violazione di un dovere;

b) sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un’entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere.”

Nonchè l’istigazione a tali condotte ed il loro favoreggiamento.

Sempre la Decisione Quadro prevedeva che:

“1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili degli illeciti di cui agli articoli 2 e 3 commessi a loro beneficio da qualsiasi persona, che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, la quale occupi una posizione dirigente in seno alla persona giuridica, basata:

a) sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica, o

b) sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o

c) sull’esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica.

2. Oltre ai casi di cui al paragrafo 1, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di uno dei soggetti di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la perpetrazione di un illecito del tipo menzionato agli articoli 2 e 3 a beneficio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.”

Nel nostro ordinamento, l’attuale art. 2635 c.c., come riformato con L. 190/2012, ha dato parziale attuazione alla Decisione Quadro:

Sul lato passivo del corrotto:

  • è stato previsto il reato innanzitutto come proprio di amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, sindaci e liquidatori, i quali ricevendo promessa o dazione di denaro o altra utilità per sè o per altri, compiano od omettano atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società. La pena è ridotta se il fatto è commesso da un sottoposto alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti di cui sopra.
  • la fattispecie richiede dunque il “nocumento della società”, di cui non vi è menzione nella Decisione Quadro; gli autori sono solo i soggetti come sopra qualificati e non coloro che esercitano funzioni “lavorative di qualsiasi tipo”; non si menziona la condotta di “sollecito” del vantaggio, nè la possibile realizzazione “tramite un intermediario”.

Sul lato attivo del corruttore:

  • la norma punisce “chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma”;
  • manca la condotta di “offerta” prevista dalla Decisione Quadro; manca la condotta “tramite intermediario”, manca l’estensione dei soggetti cui la promessa e dazione è rivolta a chiunque svolga funzioni “lavorative di qualsiasi tipo”.

Quanto alla Responsabilità 231, la stessa è ora prevista solo per le condotte attive del corruttore e comporta solo sanzioni pecuniarie da 200 a 400 quote, in base all’art. 25 ter lett. s bis) D.Lgs. 231/01.

E’, peraltro, evidente che il reato dal lato passivo non poteva trovare spazio tra i reati presupposto della 231, essendone elemento costitutivo il “nocumento” per la società del corrotto, chiaramente incompatibile con l’interesse e vantaggio che determinano la responsabilità 231.

La Legge di delegazione europea 2015, intende effettuare un passo avanti nell’ottemperanza al dettato europeo, prevedendo all’art. 19 la delega al Governo a:

“a) prevedere, tenendo conto delle disposizioni incriminatrici già vigenti, che sia punito chiunque promette, offre o dà, per sé o per altri, anche per interposta persona, denaro o altra utilità non dovuti a un soggetto che svolge funzioni dirigenziali o di controllo o che comunque presta attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati, affinché esso compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio;

b) prevedere che sia altresì punito chiunque, nell’esercizio di funzioni dirigenziali o di controllo, ovvero nello svolgimento di un’attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, presso società o enti privati, sollecita o riceve, per sé o per altri, anche per interposta persona, denaro o altra utilità non dovuti, ovvero ne accetta la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio;

c) prevedere la punibilità dell’istigazione alle condotte di cui alle lettere a) e b);

e) prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in relazione al reato di corruzione tra privati, punita con una sanzione pecuniaria non inferiore a duecento quote e non superiore a seicento quote nonché con l’applicazione delle sanzioni amministrative interdittive di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”

Con l’attuazione della Delega, si dovrebbe dunque pervenire alle seguenti modifiche:

Sul lato attivo del corruttore:

  • introduzione tra le condotte punite anche della “offerta” ed anche “per interposta persona”;
  • specificazione che deve trattarsi di denaro o utilità “non dovuti”;
  • individuazione dei soggetti destinatari dell’atto corruttivo in chi “svolge funzioni dirigenziali o di controllo o che comunque presta attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati”;
  • precisazione della finalità dell’atto affinchè il corrotto “compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio”;
  • previsione di punibilità dell’istigazione.

Sul lato passivo del corrotto:

  • individuazione dell’autore in chi eserciti funzioni dirigenziali o di controllo o svolga attività lavorativa con esercizio di funzioni direttive;
  • introduzione del “sollecito” tra le condotte rilevanti e della rilevanza del fatto commesso “per interposta persona”;
  • precisazione della finalità volta a compiere o omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio;
  • previsione di punibilità dell’istigazione.

In ambito 231:

  • innalzamento della pena pecuniaria fino a 600 quote;
  • introduzione delle sanzioni interdittive ex art. 9 D.Lgs. 231/01.

Concludiamo esponendo alcune nostre considerazioni “a caldo”, in attesa della pubblicazione della Legge e, soprattutto, dell’attuazione della stessa, con emanazione dei Decreti delegati.

Sotto un certo profilo, la Legge in esame risulta effettivamente volta a perseguire una maggiore aderenza delle disposizioni interne al dettato europeo, mirando ad introdurre la punibilità dell’offerta, del sollecito, dell’istigazione e dell’azione per interposta persona.

Sul piano soggettivo, invece, si deve considerare come, a fronte della Decisione Quadro, che considera quali soggetti passivi della corruzione coloro che svolgano funzioni “lavorative di qualsiasi tipo”, l’intervento legislativo in oggetto sembri invece incrementare lo scostamento dal volere europeo.

Se infatti ad oggi rilevano sul piano attivo e passivo le condotte di promessa e dazione rivolte, non solo ai soggetti qualificati di cui all’art. 2635 co. 1 c.c., ma altresì, pur con pene ridotte per il corrotto, alla vastissima gamma di “chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno” di tali soggetti, la nuova norma si rivolgerebbe solo a coloro che svolgono funzioni dirigenziali o di controllo o esercitino funzioni direttive, con ciò scostandosi ancor più dal concetto di funzioni “lavorative di qualsiasi tipo” di cui alla Decisione Quadro.

Altra considerazione, di maggior interesse per noi, riguarda il fatto che la Legge di delegazione europea 2015 delega il Governo, al di là dell’incremento delle sanzioni 231, anche a prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in via generalizzata “in relazione al reato di corruzione tra privati”,  senza limitare tale responsabilità, come ad oggi è, alla sola corruzione sul lato attivo del corruttore.

Peraltro, l’attuale intervento normativo, pone l’accento sulla corruzione come volta ad compiere o omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio, senza menzionare il “nocumento” per la società che oggi è elemento essenziale della fattispecie delittuosa.

Appare ipotizzabile, dunque, a seguito della emanazione dei Decreti legislativi attuativi della delega, che sia espunto dall’art. 2635 c.c. l’elemento del “nocumento” per la società, aprendo lo spazio all’introduzione quale reato presupposto della 231 della corruzione tra privati sia attiva che passiva.

Se tale sarà l’esito dell’iter normativo, in conformità alla Legge in commento, si dovranno chiaramente ipotizzare, individuare e prevenire in seno ai Modelli di Organizzazione e Gestione anche tutti quei comportamenti di chi solleciti o riceva dazione o promessa di utilità non dovute per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio e che realizzi nel contempo anche un “interesse o vantaggio” per l’ente di appartenenza.

Cliccare qui per il testo del DDL come approvato dal Senato